Contrappunti/ Lo sboom del 2.0

Contrappunti/ Lo sboom del 2.0

di Massimo Mantellini - Se Telecom Italia decide di investire lo fa coi piedi di piombo. E forse è giusto così. La crisi, oltre a tante cose negative, ha anche qualche aspetto positivo
di Massimo Mantellini - Se Telecom Italia decide di investire lo fa coi piedi di piombo. E forse è giusto così. La crisi, oltre a tante cose negative, ha anche qualche aspetto positivo

Roma – La parola più ascoltata giovedì scorso alla presentazione di Working Capital , il progetto di finanziamento di start-up 2.0 di Telecom Italia, era “in natura”. Tu hai una idea e Telecom attraverso Working Capital te la finanzia “in natura”. Messa così non suona benissimo e se poi si decide di andare al di là della boutade e si dà una occhiata al prospetto informativo, si capisce che effettivamente la maggiore telco italiana investirà 5 milioni di euro nei prossimi due anni (secondo le stime di Stefano Quintarelli lo 0,01 per cento del proprio fatturato) senza mettere sul tavolo nemmeno un euro ma attraverso la fornitura di – leggo dalla brochure informativa – “competenze e beni in natura”.

Ovviamente le competenze e i beni in natura (qualsiasi essi siano) costano e vanno messi in conto nel momento in cui si immagina di investire tempo e denaro su un progetto ma, così strutturato, il ruolo che Telecom si è ricavata in un progetto del genere sembra essere quello di aggiungere un mediatore nella catena del valore. Se il Venture Capital è strutturalmente una impresa di rischio, gente che mette denaro in un progetto che nella maggioranza dei casi non consentirà alcun futuro ritorno economico, Working Capital è invece qualcosa di differente: una specie di zio buono che ci consente di utilizzare la sua auto per andare al lavoro e che ci allunga buoni consigli su quali soggetti potrebbero essere interessati ad investire nella nostra idea di business.

Ho visto Franco Bernabè dal vivo due volte negli ultimi mesi. Giovedì scorso a Milano e qualche mese fa a Riva del Garda in occasione di un incontro organizzato da Telecom con alcuni blogger italiani. Bernabè, oltre che essere una persona pacata e piacevole, ha un grande pregio: mette la faccia nelle iniziative della azienda che dirige. Il fatto stesso che fosse a Milano a discutere di queste cose e a supportare questa, tutto sommato piccola, iniziativa di Telecom è secondo me un segnale positivo di attenzione verso il riposizionamento di una azienda che è stata da tutti per anni percepita come monolitica e vecchia, per trasformarla in una compagnia con qualche legame tangibile con la realtà del mondo che cambia.

E infatti molto di Working Capital ha il profumo del marketing. Da questo punto di vista Telecom si sta muovendo molto bene nei territori di confine fra impresa ed innovazione e lo fa partendo dai più piccoli particolari. Per esempio il logo di Working Capital è stato creato utilizzando il “lettering” multicolore di Google (che nell’occasione ne ha concesso l’utilizzo) e Google stessa è raccontata da Telecom come un esempio, un punto di riferimento significativo della nuova idea di “fare impresa”. La leggenda di Google è insomma utile a Telecom per avvicinare se stessa ad una idea di soggetto che partecipa attivamente all’innovazione, al processo complicato di immaginare nuove aziende che domani cambieranno il mondo.

Per molti anni abbiamo ascoltato in questo paese i lamenti sulla assenza di capitalisti di ventura disposti ad investire su nuovi progetti innovativi e mentre alla tavola rotonda di giovedì Paolo Barberis, presidente di Dada, ammoniva sulla necessità di essere concreti, evitando di incamminarsi sulla strada del finanziare il nulla in forma di business plan, mi veniva in mente che spesso oltreoceano fino ad un anno fa ci si trovava esattamente in quella esatta situazione. Troppi soldi disponibili da società di Venture Capital pronte a finanziare qualsiasi idea capitasse sott’occhio nella speranza di incocciare per sbaglio nel prossimo Facebook o Flickr o Google. In particolare la bolla 2.0 è forse esplosa in USA nel corso del 2008 quando è apparso improvvisamente evidente che web 2.0 e business erano entità con molti meno punti di contatto di quanto fosse lecito attendersi, e che di galline dalle uova d’oro, nell’aia mille volte mitizzata della Silicon Valley, ne razzolavano pochine.

Così oggi, in tempi di brutale crisi economica, il mito degli investitori californiani si è decisamente attenuato e se alcuni progetti italiani come Baia Network propongono a chi ha buone idee in Italia uno strumento per collegarsi con investitori oltreoceano, non deve stupire che Telecom guardi con estrema circospezione all’ipotesi di mettere del proprio per finanziare concretamente imprese innovative del paese. Detto questo, ed incassati i benefici in termini di immagine, forse un po’ meno natura e un po’ più euro non avrebbero guastato.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il 9 mar 2009
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