Contrappunti/ Metti Internet una sera a cena

Contrappunti/ Metti Internet una sera a cena

di M. Mantellini - Un'ospite inaspettato che ha colto parecchi di sorpresa. A 15 anni dalla diffusione di massa, Internet è ancora un oggetto oscuro che stravolge gli equilibri consolidati
di M. Mantellini - Un'ospite inaspettato che ha colto parecchi di sorpresa. A 15 anni dalla diffusione di massa, Internet è ancora un oggetto oscuro che stravolge gli equilibri consolidati

La parola d’ordine è contaminazione. Quello che mi pare stia accadendo intorno a Internet negli ultimi anni potrebbe essere riassunto in questa tendenza che la Rete ha avuto nel complicare le connessioni verso tutti. Da allora relazioni sociali e media hanno iniziato ad intersecarsi sempre più strettamente, e messaggi diversi sono ormai indistinguibili l’uno dall’altro (tanto che è stato coniato e va molto di moda il termine “social media”): le parole delle persone, quelle dell’informazione, della politica e delle aziende, sono andate a unirsi in una grande caotica babele il cui paradigma è l’unità di luogo e la strette vicinanza mediata dallo spazio di un link (o di un copia-incolla).

Orientarsi in un simile caos non è semplice, e i tentativi di sistematizzazione sono tanto ammirevoli quanto spesso incompleti. Per esempio Malcolm Gladwell, editorialista brillantissimo ed acuto, sul New Yorker della settimana scorsa si è cimentato sul tema complicato della forza delle relazioni sociali ai tempi della Rete. Come capita un po’ a tutti, non ne è uscito completamente indenne.

La tesi di Gladwell, che riprende altri precedenti punti di vista ugualmente ragionevoli come la critica al cosiddetto clickactivism , è che le relazioni sociali mediate dalla Rete siano legami deboli e come tali inadatte ad agire sullo status quo. Secondo l’autore, i due punti di debolezza dei media sociali sono quello, noto, di proporre un effetto di sostituzione (vale a dire quello di far preferire ai cittadini l’impegno in Rete a quelle nelle piazze) e quello di non avere una organizzazione gerarchica, elemento che secondo Gladwell è alla base del successo di ogni iniziativa di rivoluzione sociale.

Per riassumere: la Rete, con il suo sviluppo orizzontale, potrà forse essere il mediatore di una miriade di piccoli eventi sociali emozionalmente significativi, ma si rivelerebbe inadatta a supportare grandi cambiamenti epocali. Tuttavia, il focus dell’analisi sembra disinteressarsi dei cittadini per discuterne le prassi sociali, e questo indebolisce qualsiasi costruzione ideologica. O sosteniamo che Internet ci abbia cambiati dentro, trasformandoci in “contestatori stanziali”, e come tali molto meno efficaci (e per farlo occorreranno valutazioni sociologiche sul campo e un bel numero di riconosciuti fallimenti a supporto) oppure, assai più probabilmente, gli strumenti di relazione in Rete hanno fatto emergere comportamenti che prima non erano osservabili: come il coinvolgimento debole di fasce di persone che fino a ieri non sarebbero scese in piazza, e che oggi invece danno segno di sé con un click. Qualcosa di simile all’effetto del microscopio su una superficie apparentemente linda.

Internet (forse) causa un effetto di contaminazione all’interno del quale il passaparola smuove (leggermente) un numero molto ampio di coscienze fino a ieri immobili e, contemporaneamente, offre alternative di disimpegno sociale ai meno convinti fra quanti fino a ieri scendevano in piazza. Dentro questi nuovi equilibri dinamici sarà interessante vedere domani quale sarà l’effetto complessivo.

Lo stesso effetto, la stessa confusione, riguarda altre forme di relazioni messe in crisi dalla Rete. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile che il direttore di uno dei più grandi quotidiani italiani scegliesse di confrontarsi pubblicamente con la propria redazione sui temi della contaminazione del lavoro giornalistico verso Internet. Così quello che per Ferruccio de Bortoli, autore la settimana scorsa di una lettera aperta vibrante e molto critica, è un necessario cammino, dentro la Rete, verso una nuova professione giornalistica, per il Comitato di Redazione del Corriere della Sera è un trucco, un uso strumentale di questa nuova contaminazione per spremere i giornalisti, facendoli lavorare di più, più in fretta e peggio. Ed anche la ragione delle due giornate di sciopero che hanno sancito il dissidio.

Anche qui, come nelle tesi di Gladwell, sono facilmente identificabili diversi punti di vista ed un mediatore ineludibile. Fuori dalle contrapposizioni azienda-sindacato per noi è interessante individuare, anche in questo caso, il cambiamento dentro la contaminazione. La nostra predisposizione di cittadini verso l’informazione è stata fortemente mutata da Internet. Le distanze fra produttori e consumatori delle notizie che fino a ieri erano la norma, oggi sono diffusamente percepite come inaccettabili: l’aura salvifica del mediatore informativo si è notevolmente affievolita, tanto che molti lettori ormai immaginano se stessi come soggetti naturalmente attivi nella circolazione dell’informazione.

Una buona parte del traffico di bit che attraversa ogni minuto le reti sociali è fatto di rimandi, commenti e sottolineature di messaggi informativi mutuati da varie fonti, tra le quali i mezzi di informazione fanno ovviamente la parte del leone: difficile immaginare che tutto questo lavoro di nuova post-produzione non incida anche sul lavoro editoriale e sulle sue abitudini.

Anche in questo caso è arduo individuare in tutta questa confusione un segno univoco, positivo o negativo che sia. “Networks are messy” scrive Malcolm Gladwell nel pezzo citato all’inizio ed ha certamente ragione, tanta da far ritornare alla mente un saggio di David Weinberger di qualche anno fa, non a caso intitolato, nella sua edizione italiana, “Elogio del disordine”. L’unico dato certo è che Internet ha cambiato tutto, ha sparecchiato senza curarsi di togliere prima i piatti, le posate ed i bicchieri dal tavolo. Abbiamo sentito un gran rumore ma è molto presto per fare l’inventario dei danni. Se ce ne saranno. Nel frattempo qualcuno doveva comunque sparecchiare.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
4 ott 2010
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