Contrappunti/ Ottuagenari d'assalto

Contrappunti/ Ottuagenari d'assalto

di Massimo Mantellini - Il Censis conferma che sopra i 65 anni pochissimi conoscono la rete ed è proprio quella l'età di chi affolla le stanze dei bottoni, anche quelle dove si decide di Internet. Sarà mica un caso? La lista dei 57
di Massimo Mantellini - Il Censis conferma che sopra i 65 anni pochissimi conoscono la rete ed è proprio quella l'età di chi affolla le stanze dei bottoni, anche quelle dove si decide di Internet. Sarà mica un caso? La lista dei 57

Cosa ci raccontano i numeri del Censis appena pubblicati sull’accesso a Internet degli italiani che non sapessimo già? Non molto in effetti. Eppure alcune fra le poche cose che si possono intravedere rischiano di essere piuttosto significative. I numeri intanto parlano di una assoluta lontananza dalla rete dei cittadini nella fascia di età fra i 45 ed i 64 anni. Tra questi, solo il 12% usa Internet da casa (il che significa che un utilizzo normale dell’accesso alla rete scende fra costoro ben al di sotto del 10%), un numero discretamente basso si collega dal lavoro (8% circa), un altro 10% usa Internet da casa e dal lavoro. Questo numero è interessante per una ragione molto semplice: dentro questa fascia di età deve essere compresa la “classe dirigente” del Paese, sebbene un numero significativo dei nostri amministratori abiti invece la fascia successiva, quella dei cittadini che hanno più di 65 anni, quella che secondo il Censis praticamente non si collega mai a Internet (addirittura solo l’ 1% degli ultrasessantacinquenni utilizza la rete dal posto di lavoro).

Mentre discutiamo delle solite cose, vale a dire dei bassi numeri dell’uso di Internet in Italia rispetto agli altri paesi, della scarsa rappresentazione del sesso femminile nelle statistiche di accesso, della netta prevalenza dell’uso della rete fra i più giovani e della abitudine consolidata di collegarsi a Internet da casa (circa l’80% dei collegamenti avvengono dalle abitazioni) credo sia interessante osservare come la generazione di coloro che amministrano e guidano il Paese, che ne dettano le scelte e le strategie politiche, utilizzi ancora oggi pochissimo la rete.

Non si tratta evidentemente di una novità: viviamo un periodo di passaggio nel quale le competenze e la familiarità con la rete sono appannaggio di alcuni gruppi sociali ed anagrafici e sono invece sostanzialmente estranee a tutti gli altri: volendo essere sarcastici si potrebbe anche affermare che le conseguenze di questo diffuso semivolontario analfabetismo informatico sono sotto gli occhi di tutti e non sembrano destinate ad essere influenzate (in un senso o nell’altro) da cambi di governo, da nuove facce dentro i palazzi della politica o da enfatici programmi elettorali.

Chi siede nelle stanze dei bottoni oggi ed ancora per chissà quanto, non conosce la rete, spesso la teme, frequentemente ne utilizza le tematiche per scopi strumentali di propaganda o convenienza politica. E nemmeno intravediamo comportamenti virtuosi per quanto riguarda la capacità di delega, tanto più necessari quando ci si occupa di questioni che sono rapidamente evolute nel giro di pochissimi anni. Nessuno si illude che i Ministri o i sottosegretari della Repubblica debbano “nascere imparati” specie su argomenti “di frontiera” come quello dell’accesso alla rete (che per la verità è argomento “di frontiera” già da molti anni ed oggi sarebbe il caso di cominciare a considerarlo come faccenda di normale amministrazione) ma nemmeno in questo campo, per una ragione o per l’altra, si notano segnali positivi. Siamo passati da un Ministro delle Comunicazioni che chiamava Don Fortunato di Noto come consulente ad uno che si affida a Maurizio Costanzo come “opportuno” punto di riferimento.

Oppure è sufficiente osservare i nomi dei componenti del nuovo Consiglio Superiore delle Comunicazioni appena insediato dal Ministro Gentiloni per capire l’aria che tira. Nella lunga lista (ben 57 membri) stracolma di papaveri, professori universitari di lungo corso, frequentatori del sottobosco della politica, ex-tutto (c’è perfino l’ex Presidente della Repubblica Cossiga, l’Ex Presidente della Rai Manca, ex-Presidente dell’Autorità Comunicazioni Cheli) si fa davvero fatica ad intravedere i nomi di qualcuno che possa aiutare i nostri politici, digiuni delle cose della rete, dentro una ormai necessaria migrazione verso nuovi scenari e nuove competenze nel campo delle Comunicazioni e delle Nuove Tecnologie. Occasioni perse su occasioni perse, come accade ormai regolarmente da anni.

Qualche giorno fa il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di una grande regione italiana, durante un convegno al quale partecipavamo, quasi sottovoce mi informava dell’esistenza di GoogleNews: “Appena se ne accorgono gli editori sai che macello” – mi ha detto con tono complice (in realtà come è noto GoogleNews esiste ormai da anni e se i giornalisti vivono sotto una campana di vetro gli editori se ne sono invece accorti da molto tempo, viste le cause intentate all’aggregatore automatico in Francia ed in Belgio). Una sera di alcune settimane fa a cena un consigliere del Ministro delle Comunicazioni di fronte alle mie garbate rimostranze sulla “inefficace” azione del Governo verso le cose di Internet mi confessava che le poche risorse disponibili al Ministero (dove di Internet si occupano purtroppo in pochissime persone) sono spesso dedicate all’intercettare e disinnescare idee strampalate sul controllo della rete che giungono da parlamentari e senatori di ogni schieramento. Rappresentanti di quella fascia sociale che secondo il Censis naviga la rete poco o nulla e che sullo sviluppo tecnologico in questo paese paradossalmente continua a decidere con svagata leggerezza e colpevole incompetenza.

Le soluzioni a questa grave vacanza intellettuale? Sono dal mio punto di vista solo due, visto che dopo quasi due anni di Governo Prodi, mi pare ormai da accantonare l’ipotesi che un governo di centro sinistra possa invertire una tendenza sulla crescita tecnologica del paese che si è consolidata verso il basso negli anni passati:

1)Armarsi di santa pazienza ed aspettare un minimo di benedetto ricambio generazionale (una cosa discretamente complicata vista l’età media dei nostri politici)

2)Supplicare ogni volta possibile i nostri rappresentanti di adeguare l’Italia alle normative degli altri paesi europei. Si tratta spesso di cose piccole ma significative. Possiamo per cortesia non inventarci norme su Internet che non siano presenti anche in Francia o in Germania o in Gran Bretagna o in Spagna? Piantiamola di immaginarci migliori di quello che siamo, non abbiamo nulla da insegnare agli altri paesi in questo campo, non abbiamo eccellenze da sbandierare o grandi intuizioni da rappresentare. Abbiamo invece moltissimo da imparare.

Perché per esempio solo in Italia è necessario fornire un documento per collegarsi ad una rete wifi? Siamo forse più accorti o più rigorosi dei nostri vicini di casa europei? Siamo più attenti alla lotta al terrorismo dei tedeschi o degli inglesi? Suvvia, non ci crede nessuno. Iniziamo ad abrogare le leggi stupide (o anche solo i commi stupidi o i singoli articoli di legge stupidi) che abbiamo partorito in abbondante quantità in questi anni. E copiamo le norme intelligenti degli altri. Diamo un piccolo segnale di umiltà su modeste questioni, se non siamo in grado di mettere mano a quelle grosse. Facciamo insomma poco se non possiamo fare molto. Cerchiamo, a piccoli passi, di essere meno peggio di quello che siamo.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il 10 dic 2007
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