Cookie HTML5? Dritti in tribunale

Cookie HTML5? Dritti in tribunale

Una nuova class action prende di mira le funzionalità di storage locale di HTML 5 e il loro abuso a fini di advertising. Si violerebbe la privacy tracciando gli utenti con ID univoci
Una nuova class action prende di mira le funzionalità di storage locale di HTML 5 e il loro abuso a fini di advertising. Si violerebbe la privacy tracciando gli utenti con ID univoci

Le funzionalità avanzate di HTML 5 saranno anche il futuro del web, ma almeno in un caso gli intraprendenti pubblicitari telematici hanno trovato il modo di sfruttarle a proprio vantaggio e in totale spregio del diritto alla riservatezza degli utenti di dispositivi mobile. Per lo meno è quanto si sostiene in una causa legale appena avviata nella corte federale di Los Angeles, una causa che vuole conquistarsi lo status di class action e che mette sul banco d’accusa l’agenzia di advertising Ringleader Digital .

Stando ai legali dell’accusa la suddetta società ha abusato delle capacità di storage locale di HTML 5, un meccanismo pensato per sostituire i componenti esterni sin qui utilizzati allo stesso scopo e che rappresenterebbe una delle principali funzionalità di quanti – Google in primis – spingono sull’adozione del cloud computing e delle applicazioni web in locale sincronizzate con i server remoti.

Ringleader Digital avrebbe trovato il modo di piegare lo storage di HTML 5 alle necessità di un vero e proprio tracker, come quelli che sono soliti tracciare le abitudini di navigazione dell’utente attraverso i cookie del browser. Anche cancellando i suddetti cookie il database restava sempre lì a disposizione del tracker, che riusciva a codificare ogni singolo utente con un ID univoco e a ricreare l’ID e il meccanismo di tracciamento anche dopo l’eventuale cancellazione del database locale di HTML 5.

“Non puoi liberarti di quel database – denuncia l’avvocato Majed Nachawati promotore della causa contro Ringleader – sei costretto a tenerti il database mentre ti traccia e traccia le tue abitudini di navigazione in rete, il che è una violazione delle leggi federali sulla privacy”. Sul sito di Ringleader è prevista la possibilità di fare opt-out dal servizio, ma la possibilità è largamente depotenziata dalla totale mancanza di informazione sulla reale estensione dei servizi di “advertising” gestiti.

La causa di Nachawati ricorda molto da vicino quella contro i cookie Flash che attualmente coinvolge grandi nomi come MTV e NBC: anche in quel caso a essere sotto accusa è il meccanismo di tracciamento “permanente” che non sparisce alla cancellazione dei cookie del browser veri e propri .

In attesa di ulteriori sviluppi della vicenda e dell’eventuale concessione dello status speciale di class action all’iniziativa di Nachawati, al momento Ringleader si limita a rispondere a muso duro sostenendo di essere pronta a difendere “le proprie pratiche” dalle accuse di violazione della privacy degli utenti.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
20 set 2010
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