Credono ancora nell'anonimato!

Credono ancora nell'anonimato!

La ACLU si batte in Pennsylvania per proteggere l'identità di un utente che in una chat ha criticato duramente un magistrato. In ballo c'è il sentirsi liberi di criticare quando si usa internet. Non così in Italia
La ACLU si batte in Pennsylvania per proteggere l'identità di un utente che in una chat ha criticato duramente un magistrato. In ballo c'è il sentirsi liberi di criticare quando si usa internet. Non così in Italia


Roma – Da noi tutto il dibattito che sta avvenendo in queste ore in Pennsylvania sarebbe archiviato in pochi minuti: in Italia infatti non vi sono protezioni particolari per l’anonimato online e la libera espressione è da sempre imbrigliata dallo spettro delle denunce per diffamazione. Non così negli Stati Uniti, dove l’associazione per i diritti civili più importante, la ACLU , ha deciso di difendere con i denti l’anonimato di un utente internet davanti alla massima corte dello stato.

La tesi di ACLU è che se la critica rivolta dall’uomo ad un personaggio pubblico, addirittura ad un membro della magistratura, si conclude con la violazione del suo anonimato, allora la libertà di ciascuno dei partecipanti alle discussioni su internet sarà violata: rivelare quel nome equivarrebbe a una doccia fredda per chi usa la rete per esprimersi in libertà.

“Non intendiamo dire – ha spiegato un legale dell’associazione – che vi dovrebbe essere completa immunità da una denuncia quando qualcuno dice qualcosa anonimamente su internet. Stiamo solo dicendo che, soprattutto quando un pubblico ufficiale viene criticato, quest’ultimo deve dimostrare che gli è stato causato un danno prima di procedere a smascherare l’autore della critica”.

Dalla parte di ACLU c’è anche la giurisprudenza locale: sono diversi i casi nei quali i tribunali di quello stato americano si sono espressi in favore della salvaguardia dell’anonimato online. Un principio che ora fa schierare accanto ad ACLU anche numerosi provider di accesso internet.

Questa attenzione tutta statunitense per il diritto di critica, in Italia schiacciato ripetutamente nelle aule dei tribunali o direttamente dai provider, si deve storicamente senza dubbio al ruolo svolto dai libelli anonimi di Thomas Paine (“Common Sense”) nel 1776, rivolti contro la monarchia inglese, che contribuirono a formare l’identità nazionale degli Stati Uniti prima della Dichiarazione di indipendenza.
Infatti proprio a quegli scritti la ACLU si è appellata nel suo caso, riferendosi ad internet come ad uno spazio dove quel genere di critiche dev’essere concesso, soprattutto quando vengono presi di mira pubblici ufficiali.

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Pubblicato il 5 mar 2003
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