L’intelligenza artificiale generativa si è infilata dappertutto: lavoro, svago, e chi più ne ha ne metta. È praticamente impossibile passare una giornata senza che qualche sistema cerchi di anticipare quello che vogliamo. Ma c’è un gruppo di persone che invece di abbracciare questo futuro scintillante sta reagendo con puro terrore: la Gen Z.
Perché la Gen Z ha paura dell’AI?
Scott Anthony, ex analista McKinsey diventato professore alla Dartmouth University, ha raccontato a Fortune di aver notato qualcosa di strano nelle sue aule. Invece dell’entusiasmo smanioso che ci si aspetterebbe da una generazione cresciuta con lo smartphone in mano, i suoi studenti mostrano una paura viscerale davanti agli strumenti AI. E non è questione di non sapere come usarli. È proprio terrore.
Anthony ha spiegato che la preoccupazione degli studenti non riguarda la paura di essere scoperti mentre copiano. No, è qualcosa di molto più profondo e inquietante: la paura di perdere la propria capacità di pensare in modo critico. Di delegare alla macchina non solo il lavoro noioso, ma proprio il cervello. Di svegliarsi un giorno e scoprire di non essere più in grado di ragionare con la propria testa perché ci si è affidato troppo all’AI.
Sono terrorizzati, punto e basta, ha detto il professore senza troppi giri di parole. E ha aggiunto una riflessione che suona quasi profetica: C’è qualcosa nell’AI che porta le persone a temere di perdere la propria umanità se vi si affidano troppo
. Non è un timore razionale. È qualcosa di istintivo, viscerale, come quando si sente che qualcosa non va anche se non si sa spiegare perché.
Il divario generazionale
La cosa interessante è il contrasto che Anthony ha notato tra i suoi studenti e i suoi colleghi docenti di ruolo. I professori, quelli con il posto fisso in una delle università d’élite americane, sono entusiasti di provare ogni nuovo strumento basato sull’AI che spunta fuori. Non c’è da stupirsi, con uno stipendio sicuro e una posizione blindata, possono permettersi di giocare con la tecnologia senza preoccuparsi delle conseguenze.
Gli studenti, invece, si stanno affacciando a un mercato del lavoro dove l’AI viene spacciata come la soluzione a tutto, ma che nella realtà significa meno posti disponibili, più competizione, meno sicurezza. Difficile essere entusiasti quando la tecnologia che stai studiando potrebbe essere quella che ti renderà superfluo tra cinque anni.
Lo studio del MIT che conferma l’incubo
Ma forse la paura della Gen Z non è completamente infondata, anzi. Uno studio del MIT pubblicato all’inizio dell’estate ha preso un gruppo di persone e le ha divise in tre categorie per scrivere dei saggi: chi usava i modelli linguistici, chi usava i normali motori di ricerca, e chi doveva cavarsela solo con il proprio cervello.
Il gruppo che ha usato l’AI ha avuto vita più facile, questo è ovvio. Il problema è che le persone che usavano ChatGPT e simili hanno smesso di valutare criticamente quello che vedevano sullo schermo. Si sono fidati ciecamente dell’output della macchina.
Ma il dato più interessante è un altro: chi ha scritto i saggi usando solo il cervello ha riportato una maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e ha mostrato una maggiore connettività cerebrale rispetto agli altri. In pratica, sudare fatica mentale rende più felici e mantiene il cervello più attivo. Chi l’avrebbe mai detto che pensare con la propria testa facesse bene…
La profezia che si auto avvera
La situazione è singolare, una generazione che è cresciuta immersa nella tecnologia digitale più di qualsiasi altra prima, che ha imparato a navigare su smartphone e social network praticamente prima di imparare a leggere, adesso si ritrova a temere che la prossima ondata tecnologica possa svuotarli dall’interno. Non è paura del cambiamento, è paura di diventare gusci vuoti che delegano tutto a un algoritmo.
E forse hanno ragione ad avere paura. Perché mentre i docenti di ruolo giocano con i loro nuovi giocattoli dall’alto delle loro posizioni sicure, gli studenti vedono un futuro dove le competenze che stanno faticosamente costruendo potrebbero diventare obsolete prima ancora di aver finito l’università. Dove il pensiero critico diventa un lusso che ci si può permettere solo se non si ha la pressione di essere efficienti a tutti i costi.
La Gen Z non è terrorizzata dall’AI perché non la capisce. È terrorizzata perché la capisce fin troppo bene.