Google, l'open source e tutto quanto

Google, l'open source e tutto quanto

Chris DiBona, open source programs manager di Google, racconta a Punto Informatico perché l'open source è costitutivo della rete e perché Apache è la pietra filosofale del software. E perché non tutto può essere sempre open
Chris DiBona, open source programs manager di Google, racconta a Punto Informatico perché l'open source è costitutivo della rete e perché Apache è la pietra filosofale del software. E perché non tutto può essere sempre open

“Alcuni autori parlano della necessità di Internet -a sua volta un prodotto dell’open source- perché l’open source medesimo abbia successo. Internet permette al modello di sviluppo dell’OSS di funzionare “. Così scrisse Peter Lavin di Unix Review recensendo il libro di Chris DiBona Open Sources 2.0 The Continuing Evolution . Questa frase ben riassume il compito di DiBona in Google in qualità di Open Source Programs Manager ed è uno dei motivi per cui è molto utile sentire cosa ha da dire: DiBona è stato così gentile da rispondere ad alcune nostre domande.

Punto Informatico: C’è una diffusa critica verso Google di non aprire abbastanza il proprio codice sorgente interno , Linux ha “viziato” gli utenti inducendoli a pensare che qualsiasi cosa debba essere interamente open ?
Chris DiBona: Viziare? Non lo descriverei in questi termini. Penso che rendere il codice disponibile sotto una licenza open source sia lo stato ideale in cui operare per una azienda o un singolo sviluppatore. Permette un modo di condividere informazioni in maniera fluida che considero davvero grandioso. Detto questo, la situazione non è tale da permetterci o farci desiderare di condividere tutto il codice su cui poggia Google. Per la maggior parte dei casi l’ostacolo è rappresentato semplicemente della quantità di tempo che impiegheremmo a rilasciarlo, in quanto ci affidiamo a singoli ingegneri software dai vari team aziendali per pubblicare e mantenere sorgenti che provengano dalla nostra compagnia.

Ora come ora stiamo lanciando un nuovo progetto ogni una o due settimane su code.google.com e un progetto di prima grandezza come Chrome ogni 6/9 mesi o giù di lì. È molto buono ma ci saranno sempre quelli che vorrebbero vedere più uscite da parte nostra. Suona accademico ma non vogliamo rilasciare nulla che renda Internet un posto peggiore e come tale ci sono delle parti del nostro codice che non vedranno mai la luce esterna, tipo le funzioni di pageranking. In quel caso particolare daremmo agli internauti che riempiono la Rete di spam e link alle pagine fin troppe informazioni su come presentiamo i risultati delle ricerche agli utenti.

PI: Nel corso del tempo hai espresso disappunto verso la GPL a favore della BSD per via delle restrizioni implicate nella prima a discapito dei venditori di software proprietario . Per limitare quella che viene definita la proliferazione delle licenze Google limita a sette tipi il numero di quelle ammesse nel suo deposito di codici sorgenti – code.google.com – e raccomanda di scegliere tra la licenza Apache e la GPLv3 per i progetti da sottoporle. La recente svista sull’EULA di Chrome ti ha fatto cambiare idea?
CDB: In verità, preferiamo optare per Apache ogni volta sia possibile per una serie di ragioni. La prima è che il codice Apache (e BSD) confluisce comodamente in una vasta gamma di altri software open source sottoposti a licenza. In secondo luogo, BSD e Apache sono già adottate da altre aziende e da coloro che non intendano partecipare all’open source con altro ruolo che quello di utenti. Ci sta bene che la gente usi il nostro codice senza contribuire a propria volta, sebbene preferiremmo che partecipassero.

Concedetemi di aggiornare i lettori sulla controversia in merito all’EULA di Chrome: abbiamo messo a disposizione i binari del programma assieme alla sua licenza per l’utente finale utilizzando quella che era la nostra versione standard. È stata tutta colpa di una infelice clausola fin troppo generica che abbiamo ritrattato retroattivamente appena ce ne siamo accorti. Aveva un senso su di un sito come Blogger ma non ne aveva nessuno per un browser. Abbiamo commesso un errore. Succede a volte in una azienda di queste dimensioni e sono sono abbastanza soddisfatto di come lo abbiamo gestito.

PI: Hai pubblicato due libri con la ÒReilly intitolati nell’ordine Open Sources: Voices from the Open Source Revolution e Open Sources 2.0 The Continuing Evolution basati su contributi dalle principali personalità nella comunità Open Source, c’è niente che hai imparato lavorando con Google su cui scriveresti un nuovo volume?
CDB: Sì, ma ne verrebbe fuori un noioso vademecum sull’uso pratico dell’open source in una compagnia con una estesa organizzazione di sviluppo software al proprio interno (pensate nell’ordine di circa 10.000 programmatori). Con queste premesse mi aspetterei davvero scarne vendite visto quanto sia limitato il numero di aziende di questo genere. Il “Bignami” di un tale tomo si potrebbe riassumere nel fatto che fin troppe persone etichettino il sofware open source come spaventoso e rischioso mentre è tutt’altro che vero.

PI: Hai preso parte al comitato organizzatore e consegnato premi al Google-ÒReilly Open Source Awards 2008 , con categorie come “Miglior punto di accesso all’istruzione”, “Difensore dei diritti” o, come nella precedente edizione “Miglior dissipatore di FUD”, l’etica è destinata a mantenere il ruolo di forza trascinante dietro il FOSS?
CDB: Certo, reputo che etica e morale abbiamo condizionato il successo dell’open source, senza gli ideali propugnati dai suoi sviluppatori non esisterebbe. Con questi premi abbiamo cercato di portare sotto il riflettore coloro che, sconosciuti al grande pubblico, abbiano lavorato diligentemente senza altro fine che i loro ideali e l’amore per la comunità. È tutta una questione di etica, sinceramente.

a cura di Fabrizio Bartoloni

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Pubblicato il 12 set 2008
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