Ho scritto robot sulla sabbia

Ho scritto robot sulla sabbia

Un esperimento condotto da un'equipe di ricercatori statunitensi ha dimostrato come sia possibile far muovere alcuni droni su superfici poco stabili, siano esse terrestri o no
Un esperimento condotto da un'equipe di ricercatori statunitensi ha dimostrato come sia possibile far muovere alcuni droni su superfici poco stabili, siano esse terrestri o no

Presto i droni percorreranno in tutta libertà i terreni più impervi: questa è la promessa di un gruppo di ricercatori del Georgia Tech Institute che hanno messo a punto un sistema utile a far procedere senza intoppi i robot su superfici non facili da percorrere, come la sabbia. La conclusione? Chi va piano…

Per la dimostrazione, i ricercatori hanno utilizzato un drone appositamente costruito, chiamato SandBot , dotato di arti a forma di semicerchio che gli permettono di spostarsi compiendo un movimento circolare . Come tracciato di prova, gli studiosi hanno utilizzato un percorso ricavato in un parallelepipedo dotato di fori alla base e riempito con dei semi di papavero. Come spiegato dal team di ricerca, i fori hanno lo scopo di far passare l’aria, evitando così il compattarsi del “terreno”.

L’utilizzo dei semi al posto della tradizionale sabbia è tutt’altro che casuale: “abbiamo deciso di utilizzare questo tipo di materiale poiché, a differenza della comune sabbia, risulta grande abbastanza da non finire nei motori del drone ed è leggero abbastanza da poter essere manipolato con il passare dell’aria” spiega Daniel Goldman, a capo del progetto.

Per muoversi, Sandbot utilizza in maniera alterna due trii di gambe robotiche in sincronia. Ogni passo è costituito da un movimento circolare completo descritto dall’arto metallico. I ricercatori hanno capito che per far sì che il robot avanzasse senza ostacoli, è necessario settare il gesto in due fasi: quella ascendente e quella discendente.

Il meccanismo è molto simile al movimento effettuato dai nuotatori nell’acqua: per ottenere una spinta massima, è stato quindi necessario studiare ogni parametro relativo al movimento stesso. I test hanno quindi dimostrato che bracciate rapide sia nella fase di ingresso nel terreno che nella fase di uscita si rivelano poco efficaci: “abbiamo notato che movimenti troppo rapidi su un terreno così poco compatto producono l’effetto contrario – spiega Goldman – ovvero rallentano il robot, facendolo passare da un movimento paragonabile a quello di chi cammina ad uno simile a quello di chi nuota”.

La motivazione di ciò è da ritrovarsi proprio nella scarsa densità del terreno che tende a far sprofondare il drone. Per ovviare a questo inconveniente i ricercatori hanno quindi modificato la velocità di rotazione degli arti, la durata del periodo lento e di quello rapido e l’angolo in cui il movimento cambia la propria velocità. Il risultato è stato più che positivo: in questa maniera il drone è riuscito a camminare in maniera abbastanza rapida sul terreno, evitando di sprofondare ad ogni passo.

Secondo Goldman i risultati dell’esperimento, riportati sugli atti della National Academy of Sciences , costituiscono uno dei primi approcci dell’ingegneria robotica in materia di accessibilità a terreni non convenzionali. Le aspettative per il futuro sembrano addensarsi sulla creazione di robot in grado di riconoscere il tipo di terreno sul quale sono chiamati ad operare, adattando così i propri movimenti in maniera da ottenere un’andatura soddisfacente.

Dispositivi del genere potrebbero giocare un ruolo cruciale nell’esplorazione di zone impervie del nostro pianeta, così come potrebbero rivelarsi fondamentali nell’esplorazione spaziale. Droni con queste capacità potrebbero infatti evitare gli incidenti di percorso capitati a Spirit, il rover impiegato da Nasa nell’esplorazione della superficie di Marte.

Vincenzo Gentile

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
11 feb 2009
Link copiato negli appunti