La mannaia sulla libertà di link

La mannaia sulla libertà di link

La natura della rete non basta a sollevare dalle sue responsabilità un webmaster che secondo le major della musica linkava troppo. In Australia un processo che pesa sul collegamento ipertestuale
La natura della rete non basta a sollevare dalle sue responsabilità un webmaster che secondo le major della musica linkava troppo. In Australia un processo che pesa sul collegamento ipertestuale


Sidney (Australia) – Si può essere considerati colpevoli di un atto illecito semplicemente pubblicando su un proprio sito un link a materiale illegale presente su server di terzi? In Australia il diritto di link è ancora una volta finito sotto processo ma in ballo, secondo i discografici, c’è il più importante caso di pirateria di massa mai registrato nel paese dei canguri.

La premessa è semplice: fino a qualche tempo fa era attivo il sito mp3s4free.net, sito gestito da un australiano fin dal 1998 che proponeva, come fanno tanti altri spazi web, una notevole quantità di link a file mp3 scaricabili dalle piattaforme di scambio peer-to-peer o presenti su altri server. I link erano organizzati in categorie e consentivano ai downloader di individuare rapidamente la tipologia di musica a cui erano interessati e far partire lo scaricamento. Lo scorso ottobre il sito è stato chiuso a seguito di una denuncia dell’industria del disco, e il suo webmaster è stato chiamato alla sbarra.

L’accusa dei discografici australiani è che sebbene i file scaricabili non fossero gestiti dal webmaster del sito, questi avrebbe creato un “tesoro” di file illegali, capace di mettere a disposizione, a loro dire, materiale per almeno 300 milioni di euro. “Il grado di violazione del copyright su questo sito – ha sostenuto uno dei legali delle major dinanzi ai giudici del tribunale federale di Sidney – non ha precedenti in Australia . Era accessibile da tutto il mondo e rappresentava una delle maggiori fonti di copie non autorizzate di registrazioni presenti su Internet”.

Va da sé che i legali di Stephen Cooper, il webmaster, hanno respinto in toto le accuse, definendole sic et simpliciter “assurde”. Secondo gli avvocati dell’uomo, infatti, questi non può avere alcuna responsabilità su quanto abbiano o non abbiano fatto i sette milioni di utenti che si ritiene abbiano avuto accesso al sito ogni anno, né sul fatto che nell’ultimo anno di attività, fino all’ottobre del 2003, siano stati cliccati i link mp3 a 136 milioni di file .

“Tutto quello che ha fatto il nostro cliente – ha spiegato il legale della difesa – è stato inserire una serie di collegamenti che connettono siti web di tutto il mondo. Funziona praticamente allo stesso modo di un motore di ricerca di Yahoo”.

La fornitura di link a server che detengono file mp3, che in Italia offrono anche realtà come Libero.it , secondo gli avvocati di Cooper è parte della natura stessa della rete, in cui i collegamenti ipertestuali sono costitutivi dell’ambiente digitale. Come a dire, cioè, che la responsabilità per quanto viene scaricato non è di chi crea un ponte ma di chi sceglie di attraversarlo per compiere un atto illecito.

Come finirà? Oggi è difficile dirlo, sebbene sia evidente per tutti che quello australiano costituirà un precedente per la libertà di link , locuzione che gode di una certa fortuna soltanto presso chi parla di internet come di uno strumento “per il flusso libero dell’informazione”. A remare contro, e chiedere una responsabilità civile e penale per chi linka troppo e non si assume responsabilità per quello che linka, non sono i primi arrivati, ma sei aziende australiane e una pletora di 25 multinazionali , tra cui Sony, che ora vogliono una condanna esemplare.

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Pubblicato il 26 ott 2004
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