C’è qualcosa di virale in quell’esperimento svedese che va sotto il nome di Partito dei Pirati e che ha molte chance di imporsi come schieramento innovativo alle prossime elezioni svedesi. Virale, perché il Manifesto che il PiratPartiet di Rickard Falkvinge ha messo a punto e reso pubblico nei giorni scorsi ha tutte le carte in regola per essere ripreso e proposto al di fuori dei confini svedesi. Riguarda infatti Internet, le promesse di Internet e tutto ciò che in questi anni è stato fatto per cercare di cancellarle, cose che vengono discusse da anni in molti diversi paesi e che forse, ora, col PiratPartiet, acquisiscono una forma intelligibile anche per chi non vive la rete giorno per giorno, una forma capace di provocare un impatto politico reale.
Buon senso e conoscenza della rete. Dice il Manifesto: “Una forza motrice dell’attuale isteria del monitoraggio è il business dell’intrattenimento, che vuole impedire alla gente di scambiare file con materiale protetto. Ma per farlo, tutte le comunicazioni private devono essere monitorate. Per sapere quali sono gli zero e gli uno che compongono un film, gli uno e gli zero devono essere analizzati. E gli uno e gli zero che compongono un brano musicale sono dello stesso tipo che forma la lettera ad un dottore o ad un avvocato”.
Già, lo diciamo da anni e il punto è sempre lo stesso. Una rete di computer nasce per consentire ai suoi nodi di scambiarsi file. Se si vuole impedire che certi file vengano scambiati non c’è altra scelta che sapere quali siano i dati trasmessi. Oggi le major cercano di farlo sui sistemi peer-to-peer, arrivando a monitorare i file ospitati dagli hard disk degli utenti, ma domani? Andranno a vedere la posta elettronica, ormai capace di trasportare in un attimo grandi quantità di file di ogni dimensione? Indagheranno sui messaggi scambiati in real time tra gruppi di utenti? Otterranno l’accesso persino alle comunicazioni cifrate tra privati? Chi dice che è possibile discernere le “tipologie” di uno e di zero senza invadere la riservatezza dell’individuo ignora il concetto stesso di network. E così viene trattato dal Manifesto.
Certo, e il PiratPartiet lo spiega bene, a favore di un nuovo atteggiamento verso la rete gioca anche il valore intrinseco dello scambio culturale, l’importanza della condivisione spontanea e globale tra individui. “Invece di essere limitati a canoni culturali decisi (dai produttori, ndr.) – continua il Manifesto – i giovani di oggi hanno accesso a musica, teatro e immagini del mondo intero. È qualcosa che dovremmo abbracciare, e non tentare di ostacolare”. Ciò che questo può produrre è molto semplicemente un mondo nuovo, più aperto, i cui abitanti siano più consapevoli delle reciproche differenze, e ne facciano tesoro, trasformandole in un fattore di crescita.
Buon senso, si diceva. Nel proporre nuove leggi, ad esempio, che abbiano nel mirino chi fa un uso commerciale della proprietà intellettuale altrui, ma liberino ora e per sempre coloro che ne facciano un uso esclusivamente personale.
Il messaggio è chiaro. Non si tratta di rispondere alla sgangherata crociata delle major contro il peer-to-peer sventolando la bandiera ipocrita della pirateria scroccona, ma di reagire politicamente e in modo strutturato a quel coacervo di iniziative intraprese fin qui per fare della rete un ambiente da tenere sotto controllo: dal trusted computing all’EUCD, dalle varie leggi Urbani all’epidemia del DRM e via peggiorando. Occorre andare alla radice, smontare i presupposti dell’orientamento politico oggi dominante, proporre con coraggio le possibilità che Internet apre all’umanità tutta.
La nascita del PiratPartiet e la sua crescente popolarità in Svezia – si ritiene che sia il partito destinato ad essere il più votato da coloro che si recheranno alle urne per la prima volta – sta suscitando attenzione in tutta Europa, Italia compresa. Una buona notizia anche per i sostenitori del diritto d’autore: portare in Parlamento un drappello di persone competenti in materia di Internet e determinate ad alimentare il dibattito sulle potenzialità della rete può dare a tutti l’opportunità di dire la propria, anche al di fuori dei condizionamenti dell’industria. È un tema troppo importante perché continui ad essere ostaggio di attività di lobbying poco chiare e di normative frettolose e cocciutamente repressive.
Paolo De Andreis