Microsoft cancella il rapporto sulla diversità, solo storie e video

Microsoft cancella il rapporto sulla diversità, solo storie e video

Microsoft non pubblicherà il rapporto annuale su diversità e inclusione, passerà a formati dinamici come video e testimonianze.
Microsoft cancella il rapporto sulla diversità, solo storie e video
Microsoft non pubblicherà il rapporto annuale su diversità e inclusione, passerà a formati dinamici come video e testimonianze.

Per Microsoft, i report annuali su diversità e inclusione non servono più. Dal 2019 l’azienda pubblicava ogni anno un documento dettagliato che mostrava la composizione etnica dei suoi dipendenti, per celebrare la diversità come valore fondamentale. Era diventata una tradizione, un modo per Microsoft di pavoneggiarsi pubblicamente del proprio impegno per l’inclusione.

Microsoft abbandona il report annuale su diversità e inclusione, cambia il clima politico

Nel 2025, però, non ci sarà nessun report. Microsoft ha spiegato che si è evoluta verso formati più dinamici e accessibili, come testimonianze, video e analisi che parlano di inclusione. Ma assicura che la sua missione e l’impegno restano invariati.

La virata a 180 gradi di Microsoft non è casuale. È direttamente collegata al clima politico negli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. Il presidente non è esattamente un fan delle politiche di diversità, equità e inclusione (DEI), per usare un eufemismo generoso. Appena arrivato alla Casa Bianca a gennaio, ha firmato un decreto che rende illegali tali programmi nelle amministrazioni pubbliche, sostenendo che siano discriminatori e controproducenti perché mettono in primo piano origine etnica e orientamento sessuale invece che competenza.

Le società private tecnicamente mantengono autonomia su queste politiche, ma c’è un piccolo dettaglio. Per lavorare con il governo federale devono mettere da parte i programmi DEI. E considerando quanto Microsoft dipenda da contratti governativi, soprattutto nel settore difesa e cloud computing, la scelta diventa ovvia.

Il cinismo dei giganti tech

La decisione di Microsoft è sintomo di qualcosa di più grande. Anche perché non è l’unica ad aver ridimensionato i programmi DEI o ad aver smesso di parlarne pubblicamente. I valori dei giganti tech sono flessibili e le convinzioni durano finché sono profittevoli. Quando Biden era presidente e le politiche DEI erano popolari e ben viste, Microsoft pubblicava rapporti dettagliati e si vantava della diversità dei propri dipendenti. Ora che Trump è tornato e le politiche DEI sono sotto attacco, improvvisamente quei rapporti non servono più e l’inclusione si trasforma in vaghi “formati dinamici“.

Per i lettori europei, l’idea stessa di raccogliere statistiche etniche sui dipendenti può sembrare strana. In Francia, per esempio, tali statistiche sono strettamente vietate per legge. Ma negli Stati Uniti è pratica comune e accettata, parte di un approccio diverso alla questione della discriminazione e dell’uguaglianza.

L’idea è che monitorare la composizione etnica della forza lavoro permette di identificare disparità e discriminazioni sistemiche. Se un’azienda ha il 90% di dipendenti bianchi in un paese dove i bianchi sono il 60% della popolazione, questo solleva domande su pratiche di assunzione potenzialmente discriminatorie. I report come quello di Microsoft servivano teoricamente a creare trasparenza e responsabilità.

Ma ora che quei numeri potrebbero diventare politicamente scomodi o attirare attenzione indesiderata dall’amministrazione Trump, Microsoft preferisce semplicemente smettere di pubblicarli. Raccontare la diversità pubblicamente non è più conveniente.

Microsoft insiste che “la missione e l’impegno restano invariati“, ma i report annuali erano misurabili, verificabili, pubblici. “Testimonianze, video e analisi” sono vaghe, soggettive, facilmente manipolabili. Si può sempre trovare qualche dipendente felice disposto a dire che l’azienda è inclusiva, indipendentemente dai dati reali.

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Pubblicato il
24 nov 2025
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