La diffusione del formato di compressione audio MP3 ha rivoluzionato il mondo della musica sotto molti aspetti, primo fra tutti quello della distribuzione: gli artisti possono ora contare su di un nuovo canale per diffondere la propria musica, con meno intermediari e con un contatto più diretto con il pubblico, un pubblico che già oggi è in grado di acquistare on-line moltissimi brani commerciali e non e crearsi delle proprie compilation.
Naturalmente in tutto ciò chi ci rimette, almeno inizialmente, sono proprio le case discografiche ed i rivenditori tradizionali che, per non soccombere, dovranno spostarsi su Internet e reinventarsi, in qualche modo, il loro business. Ma per far questo occorre che il tradizionale formato MP3 venga sostituito da un formato “sicuro”, in grado di proteggere i diritti d’autore ed impedire che le copie pirata possano diffondersi in rete come invece avviene oggi.
Quello che ha portato al successo il formato audio MP3 è stato l’elevato fattore di compressione (circa il 90%) a fronte di una qualità più che buona. Naturalmente tutti i nuovi formati audio che vorranno ambire a sostituire l’MP3 dovranno partire da queste basi ed aggiungere la sicurezza.
Di algoritmi di compressione alternativi a MP3 ne esistono già diversi, ma uno in particolare sembra promettere davvero bene: il VQF (Vector Quantization Format).
Il VQF è capace di comprimere un file audio fra il 30-35% in più rispetto a quanto può fare l’MP3 (in media 1:18 contro 1:12), e questo a pari qualità. VQF riesce infatti ad offrire date rate più bassi e audio di migliore qualità: 80 Kbps e 96 Kbps del VQF valgono, in formato MP3, rispettivamente quanto 128 Kbps e 256 Kbps. E’ facile vedere, dunque, che alla massima qualità (praticamente indistinguibile da quella di un CD) VQF genera file grandi solo 1/4 di quelli generati da un coder MP3. Per fare un esempio, un file WAV non compresso della durata di 5 minuti (circa 50 MB) in MP3 (128 Kbps e 44 KHz stereo) diverrà di 4.5 MB, mentre con il VQF (96 Kbps e 44 KHz stereo) diverrà di 3.5 MB e con una qualità nettamente superiore.
Per ottenere tali risultati i progettisti del nuovo formato hanno fatto affidamento, oltre che su una tecnologia migliore, anche sulla maggior potenza delle CPU di oggi: un decoder VQF consuma infatti in media tra il 10 ed il 15% in più di tempo di CPU rispetto a un decoder MP3. Del resto il formato MP3 è stato sviluppato quando i Pentium 100 erano i processori più diffusi, ma oggi che i processori entry level sono rappresentati da CPU con 300-400 MHz ed estensioni MMX, l’utilizzo del processore è un fattore senz’altro meno cruciale rispetto al passato.
Bisogna poi tenere presente che gli attuali codec VQF non sono ancora ottimizzati come quelli, ormai più che maturi, MP3, e che nel futuro avremo dei codec senz’altro più veloci. Ad esempio, tra il codec della Yamaha 2.51b1 e l’encoder NTT 2.11 ci sono 27 secondi di differenza per la compressione dello stesso file WAW.
Qualcuno potrebbe obiettare che MP3 è supportato da tutti i player multimediali in circolazione mentre il VQF non lo è ancora, ma anche questo è un fattore trascurabile visto che comunque per gli internauti non è un problema aggiornare gratuitamente in rete il loro player di fiducia. Per il momento, comunque, sul sito di VQF si possono già trovare plug-in per i player più famosi, coder, decoder e convertitori di file MP3 in file VQF.
Grazie alle tecnologie di comunicazione odierne come V.90, ISDN o ADSL, l’ascolto e il download di musica da Internet è ormai alla portata dell’utente che sempre più spesso ascolta musica durante la navigazione e cerca file multimediali su Internet. Da qui l’interesse di aziende come Microsoft di trovare uno standard che racchiuda i pregi del formato Real Audio e del formato MP3 e che, pur occupando poca banda durante l’ascolto, offra una buona qualità audio: questo formato è il Windows Media Audio (WMA).
Il WMA, essendo stato progettato e ottimizzato per lo streaming audio su Internet, offre bassi data rate, ma anch’esso risulta superiore al formato MP3: a 64 Kbps fornisce una qualità audio notevolmente migliore di MP3, che a tale frequenza elimina i bassi, e gli alti hanno un suono artificiale.
I file compressi in WMA occupano circa la metà di quelli compressi in MP3: significa che se prima un lettore poteva contenere solo 20 brani in formato MP3, adesso ne potrà contenere 40 in WMA con una perdita di qualità relativamente bassa, anche considerando l’uso prettamente “consumer” a cui sono destinati i lettori portatili.
Sviluppato per motivi economici, il WMA permette di “proteggere” i diritti d’autore grazie al Windows Media Packager: questo tool, incluso nella suite per la produzione di file multimediali di Microsoft, permette di inserire i file in formato WMA all’interno di un archivio compresso che l’utente potrà aprire solo avendo l’apposita chiave che è fornita con la licenza d’ascolto del brano in questione.
Lo sviluppo del WMA ha interessato case produttrici di lettori portatili come Creative e Diamond , due società che hanno stretto degli accordi con Microsoft. La possibilità di proteggere i file in formato WMA da copie abusive ha suscitato l’interesse di Sony, con cui Microsoft ha stabilito una vera e propria collaborazione tecnica: tutte le periferiche portatili di Sony , come il Memory Stick Walkman e il VAIO Music Clip, supporteranno infatti il WMA.
L’accordo tra Microsoft e Sony non è importante solo dal punto di vista tecnologico, ma anche sotto quello commerciale: un colosso del mondo informatico e uno del mondo musicale hanno interessi comuni e si alleano per divenire più forti. Questo ci fa capire come le grandi società legate al mondo dei computer in un prossimo futuro potrebbero avere interessi ovunque, dal mondo discografico a quello cinematografico: il media, Internet, sta via via appiattendo i ruoli di ognuno.
Proprio grazie allo sforzo congiunto di case discografiche, firme dell’entertainment e software house, fra i cui fondatori troviamo anche Microsoft e Sony, ha preso vita il Secure Digital Music Initiative (SDMI).
SDMI si pone come obiettivo lo sviluppo di una architettura aperta e sicura per la distribuzione on-line di file audio coperti da diritti d’autore. Non è compito di SDMI sviluppare concretamente nuovi formati audio, ma di tracciarne le linee guida e certificarne la sicurezza, promuovendo poi i più meritevoli.
Attualmente fanno parte di SDMI più di 110 compagnie tra le quali troviamo: America Online (AOL), American Federation of Musicians (AFM), BMG, BMI, CDDB Inc, Creative Technologies, EMI, Fraunhofer Institute, Motorola, RIAA (Recording Industry Association of America), Recording Industry Association of Japan (RIAJ) e Yamaha.
Proprio in questi giorni SDMI ha presentato un prima bozza del documento per la seconda fase del progetto, ed i commenti a riguardo, non si sono fatti attendere.
Richard F. Doherty, elettrofisico e direttore del Envisioneering Group (Seaford, N.Y.), ha osservato come questo sia il primo documento riguardante la tecnologia digitale scritto più dai giuristi che non dagli ingegneri.
La Musicians United si è fatta addirittura promotrice di una petizione su Internet per contrastare SDMI. Il preambolo che precede la petizione
sostiene che SDMI vuole limitare gli artisti indipendenti e la libertà fornita dal canale della distribuzione on line. “Questo potente cartello dell’industria musicale sta facendo una grande campagna di disinformazione per convincere i fan e i consumatori che solo la musica prodotta dalle majors (le più potenti case discografiche) è legittima e tutela il diritto d’autore. Questo implica che chi produce musica indipendente non lo è e che tutta la musica digitale non crittata è pirata. Le tecniche di crittazione proprietarie richiedono delle licenze che possono avere dei costi proibitivi per gli artisti indipendenti obbligandoli così a cessare la distribuzione di musica on line oppure ad aumentare i prezzi di vendita”.
Secondo Bill House, membro di Musicians United, la strategia di SDMI è simile a quella delle software house: “abbracciare, estendere, estinguere” per eliminare gli avversari.
Chi ha ragione?
Dobbiamo cominciare con il distinguere due casi: il problema del download illegale di MP3 da Internet ed il problema della tutela del diritto d’autore. Riporto le parole del dott. Gasparro sul sito della : ” Il bene, anche se immateriale, è un bene e così il relativo diritto. L’opera dell’ingegno, come ogni prodotto, nasce a seguito di un impegno creativo, realizzativo e produttivo: in altre parole la realizzazione di un’opera dell’ingegno ha un costo.”
La diffusione di un formato audio non duplicabile, dunque, potrebbe sì arginare la pirateria, ma come abbiamo sentito potrebbe altresì eliminare la concorrenza alle major delle etichette indipendenti, troppo povere per pagare royalty sui formati sicuri promossi da SDMI. Sarebbe auspicabile che nascesse invece uno standard libero e aperto a cui tutti potessero attingere senza pagare licenze, proprio come l’MP3 ora: che bollirà nel calderone dell’organizzazione no-profit MPEG?