Napster, hanno spompato il Jukebox

Napster, hanno spompato il Jukebox

di Massimo Mantellini. Il P2P oggi riceve le medesime attenzioni censorie che ricevette un tempo il web, IRC e perfino la posta elettronica
di Massimo Mantellini. Il P2P oggi riceve le medesime attenzioni censorie che ricevette un tempo il web, IRC e perfino la posta elettronica


Roma – L’idea che ha reso Napster grandissimo è, per mutuare una definizione giornalistica utlizzata di recente, quella del “jukebox universale”. Il sogno di avere tutta la musica, tutta quanta, di averla lì, alla portata di un clic, con Napster si è per la prima volta materializzato e i risultati sono sotto i nostri occhi. Sessanta milioni di persone hanno, per così dire, apprezzato. Con una accelerazione inconsueta e violenta, come sempre avviene in questi casi, le fratture create da questa rivoluzione sono state molte e gli interessi offesi anche di più, con le conseguenze legali che conosciamo.

Mentre rimane assai nebbioso il futuro del file sharing commerciale (entità che è quasi una contraddizione in termini) il successo clamoroso di Napster ha definitivamente chiarito almeno quello che si aspettano gli utenti da un sistema P2P. Quanto hanno sperimentato in questi mesi, a fatica potrà infatti essere dimenticato. Difficilmente potrà venir barattato per qualcosa di differente. Detto senza troppi giri di parole chi utilizza Napster o Gnutella, Bearshare o Imesh oggi chiede libertà di azione dentro il proprio PC e libero accesso alla comunicazione con gli altri. Si aspetta di utilizzare software che partecipino a questo, è pronto a fare comunità con quanti in tutto il mondo vedano le cose dallo stesso punto di vista. E non vogliono sentire altre questioni.

Chiedersi se questo sia compatibile con le regole del gioco della società industrializzata oggi è la domanda fondamentale.

Vai a spiegare ai 60 milioni di entusiasti di Napster che la prossima realese (se mai arriverà) del loro software preferito consentirà dietro minimo pagamento mensile di gestire files musicali con privilegi e possibilità ridotte, che tali files saranno controllati, che saranno rilasciati in un numero e con modalità di utilizzo già codificate ed in ogni caso molto simili ai sistemi “pay per listen”. Vai a spiegare insomma che Napster non sarà più il “jukeboxe universale” che stimola la fratellanza fra i devoti del pop (o del jazz o della musica classica) ma una sua versione molto ridotta e, soprattutto, molto addomesticata. E che tale strumento scivolerà impercettibilmente dalle mani di chi lo utilizzava a quelle di chi “finalmente” lo ha posto sotto controllo.

Adottare il P2P come modello di business oggi è una acrobazia notevolissima: richiede tra l’altro a chiunque la voglia praticare una certa propensione alla mistificazione visto che si decide di normalizzare un canale di connessione paritaria fra PC trasformandolo in un canale di connessione controllata. La differenza potrà anche sembrare sottile ma così non è. Ci si dimentica velocemente che il valore aggiunto del file sharing era ed è quello della libera fruibilità dei bit, e non solo quello della architettura attraverso la quale essi transitano. Oggi in rete il protocollo cui ci si affida non è di per sé indicativo di niente: rappresenta solo un moltiplicatore di occasioni. Se per esempio qualche anno fa era complesso rintracciare un server ftp nel quale in una directory nascosta erano storati files mp3 musicali, oggi rintracciare mp3 è diventato semplicissimo. Questo però non cambia la sostanza del fatto che gli utenti connessi a Internet desideravano e desiderano scambiarsi brani musicali da PC a PC.

E d’altro canto il P2P oggi riceve le medesime attenzioni censorie che ricevette un tempo il web (nelle cui pagine era possibile – orrore!- leggere di tutto), IRC (covo di pedofili e criminali di ogni risma) e perfino la posta elettronica. Come sempre una certa parte di queste “preoccupazioni” appaiono giustificate; come sempre la grande maggioranza di questi richiami è fortemente condizionato non tanto da esigenze etiche quanto da leve commerciali.

E non è, in effetti, una grande novità.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
24 feb 2001
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