NGN, tutti al tavolo. O quasi

NGN, tutti al tavolo. O quasi

Alla prima riunione degli stakeholder che dovrebbero dare la fibra all'Italia non tutti sono ammessi a partecipare. E il risultato del primo incontro è: ci vuole un secondo incontro
Alla prima riunione degli stakeholder che dovrebbero dare la fibra all'Italia non tutti sono ammessi a partecipare. E il risultato del primo incontro è: ci vuole un secondo incontro

Alla fine, il tavolo sulla NGN c’è stato. E il risultato di questo atteso incontro , che si è trascinato tra le polemiche (degli altri operatori minori, non convocati ) fino alla sua effettiva realizzazione nella giornata di ieri, è: (rullo di tamburi) ci vuole un tavolo sulla NGN . Lo chiedono tutti: Telecom, Vodafone, Fastweb, Wind, Tiscali, e pure 3 Italia e BT che sono state invitate a sedersi per discutere con i colleghi e col viceministro Romani. Resta da capire, tavolo per tavolo, perché quello di ieri non andasse bene per iniziare a lavorare : ma vale la pena passare a raccontare ciò che è emerso da questa prima convocazione della riunione di condominio della rete telefonica italiana.

“Abbiamo fatto un passo avanti – ha detto il viceministro Romani – abbiamo riunito tutti gli operatori TLC a un tavolo su un progetto condiviso e poi si dovrà capire come fare un business plan”: ovvero, dopo mesi di rimpiattino in cui era difficile persino riuscire a far parlare assieme gli AD delle varie telco, ora almeno accettano di sedersi allo stesso tavolo . Da qui a prendere accordi per avviare i lavori per la cablatura del paese ce ne passa, ma un piccolo segnale di sblocco dello stallo c’è stato.

E infatti: “Sul fatto che la rete di nuova generazione debba essere unica siamo tutti d’accordo. Il problema è anche delle regole che vengono evocate e della transizione alla fibra. Questi sono passaggi veramente complessi”. Leggi: senza Telecom che accetti di mettere in comune i suoi cavidotti e la sua attuale rete, da avviare alla transizione in fibra, non si va da nessuna parte (e non parliamo per favore di switch-off). Si deve fare una newco dentro cui far confluire l’infrastruttura , occorre dividere le partecipazioni a questa nuova entità in maniera equa tra chi aderirà (Stato compreso), ma è proprio qui che nasce il problema: non c’è accordo su chi dovrà contare quanto nel nuovo soggetto, né su come compensare Telecom per il suo “sacrificio” nella separazione dalla rete.

Alla fine della giornata, nessun accordo esplicito o documento comune. Solo una sorta di verbale di seduta , un documento prodotto dal Ministero per lo Sviluppo Economico, cui fa capo Romani, in cui si legge che “Per lo sviluppo in fibra delle infrastrutture di TLC, il Governo ha esposto la volontà di costruire un modello di realizzazione in partnership pubblico-privato in modo tale che la realizzazione delle reti di nuova generazione, obiettivo e competenza degli operatori di telecomunicazioni, possa essere velocizzata ed ottimizzata”. Quindi lo Stato italiano studia come entrare nella faccenda , ma dovrà coordinarsi con la UE e con la imminente Digital Agenda a cui lavora il commissario Kroes a Bruxelles, nonché con Agcom che poi dovrà scrivere le regole per la concorrenza in Italia.

Resta da chiarire quale sia la formula, per l’appunto: “Il modello di sviluppo delle infrastrutture digitali consiste nella condivisione di organismi anche societari che presiedono allo sviluppo delle infrastrutture passive di rete, aperti alla partecipazione del governo, delle regioni, di investitori istituzionali e, ovviamente, degli operatori di telecomunicazioni, con governance aperta, coordinamento a livello nazionale, ma declinabile su base regionale, con la massima flessibilità rispetto alle esigenze delle diverse realtà territoriali”. Lunghissima definizione , che significa tutto e niente.

Dal paragrafo appena citato si può dedurre che: si va verso una newco che prenda in gestione la rete, dentro cui far confluire tutto quello che ha Telecom e quello che hanno altri soggetti (spento o acceso non importa), e i soldi per pagare questa infrastruttura ce li può mettere in parte lo Stato e in parte le banche . La porta rimane aperta per una cabina di regia nazionale e per l’integrazione coi progetti regionali (quello che stanno facendo in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Basilicata), ma – e qui casca l’asino – “con la massima flessibilità rispetto alle esigenze delle diverse realtà territoriali”. Ovvero, le zone bianche (quelle a fallimento di mercato, dove nessuno intende investire per mancanza di ritorni sicuri) potrebbero ricevere trattamento profondamente diverso da quelle metropolitane e urbanizzate dove tutti hanno interesse a esserci.

A voler essere pessimisti, finirà che ci sarà accordo per fare concorrenza sui servizi solo nelle zone dove l’interesse per questi servizi sarà scarso. E nei distretti industriali, nelle metropoli, dove sarebbe fondamentale concentrare tutti gli sforzi su una sola infrastruttura efficiente e efficace, gli operatori potrebbero decidere di farsi concorrenza sulla rete : ovvero la cosa peggiore che potrebbe capitare, visto che tutti gli studi evidenziano la scarsa redditività di una seconda, o peggio, terza infrastruttura in competizione con quella dell’incumbent o del first mover . Un’interessante analisi delle problematiche da affrontare per la nascita della rete NGN in Italia l’ha fatta Stefano Quintarelli , esperto del panorama TLC, racchiudendo il tutto in un video (di seguito).

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Come detto, l’unico risultato tangibile di questo sommovimento nazionale è stato che ci sarà una seconda convocazione: ci si rivede il 15 luglio , sempre al Ministero, e magari allora si sarà fatta ancora più chiarezza su quali siano le reali intenzioni di Telecom Italia, e quanto abbia il Governo da investire, e quanto eventualmente si dovrà racimolare di capitale privato dalle banche. Certo, poi però c’è agosto: il terzo incontro ci sarà probabilmente non prima di settembre, poi ci sarà la Finanziaria e chissà quale altra priorità economica cui fare fronte per la stabilità economica dell’Italia. Il Rapporto Caio giace senza seguito sulle scrivanie del Governo da mesi, dei soldi promessi non s’è vista neppure l’ombra. La fibra in Italia, par di capire, è tutt’altro che in procinto di arrivare .

Luca Annunziata

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Pubblicato il
25 giu 2010
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