Occhio, il P2P di opere protette rimane illegale

Occhio, il P2P di opere protette rimane illegale

Grande evidenza ieri per una notizia riportata molto frettolosamente dalle agenzie e ripresa da molti media: nessuna assoluzione del peer-to-peer di materiali coperti da diritto d'autore. Ma più libertà ai siti che ne parlano
Grande evidenza ieri per una notizia riportata molto frettolosamente dalle agenzie e ripresa da molti media: nessuna assoluzione del peer-to-peer di materiali coperti da diritto d'autore. Ma più libertà ai siti che ne parlano

Momenti di una certa emozione si sono vissuti ieri in rete quando nel primo pomeriggio ha iniziato a fare il giro del web una notizia secondo cui il peer-to-peer è legale . Si tratta però di una non-notizia per due ragioni: si riferisce a una decisione che non riguarda lo scambio effettivo di opere protette dal diritto d’autore; il peer-to-peer è legale da sempre . Ciò che era e rimane illecito in Italia è scaricare materiali protetti da diritto d’autore, con rilevanza penale quando quei materiali si pongono in condivisione. Uno stato di cose che in nessun modo è cambiato, un quiproquo che si ripresenta con una certa periodicità sulla stampa italiana.

Chiarito l’equivoco, rimane una decisione di sicuro interesse quella con cui il PM Paolo Giorgio Ferri ha richiesto l’ archiviazione di un caso controverso , quello legato ad una denuncia di un produttore contro ignoti, una denuncia che coinvolgeva siti come emuleitalia.net e persino bittorrent.com . Di mezzo anche bearshare.com , da tempo “dedicato” a tutt’altro. Vale a dire siti dedicati alla diffusione di informazioni sul peer-to-peer , comprensive di guide e tutorial e tuttalpiù shortcut per scaricare client dedicati.

Quei siti, ed è questa la sostanza della decisione, non ospitano materiali illegali e gli utenti che li frequentano non sono identificabili come condivisori di contenuti abusivi , semmai sono siti che danno informazioni e consentono all’utente di recarsi su altri siti da dove è possibile che abbia luogo, tramite link torrentizi, il download e la condivisione di opere protette.

Ferri ha spiegato nei dettagli il punto: quei siti “si limitano ad autenticare l’utente che viene successivamente smistato verso altre reti ibride e decentralizzate in tutto il mondo”. Si tratta in effetti di forum ai quali è possibile accedere previa registrazione, come milioni di altri siti del tutto simili. Da lì, come da Google, per dirne una, è possibile che l’utente si imbatta in altri link ad altri siti e servizi, nonché evidentemente a file potenzialmente illegali: tutto questo rende “difficile” la “identificazione” dell’utente che compie un atto illegale e quindi “problemi non solo per gli esiti delle indagini, ma anche di giurisdizione perché lo scambio che rileva spesso avviene estero su estero”.

Ne consegue, dunque, che: “In assenza di una legislazione che crei una fattispecie penale ad hoc non appare possibile dare rilevanza in questa sede a un fenomeno assai diffuso, di difficile criminalizzazione ed avente accertamenti quasi impossibili in termini di raccolta della prova”. Una tesi condivisa dal GIP del Tribunale di Roma Carla Santese che, nell’accogliere la ricostruzione del PM, ha spiegato come “appaiono pienamente condivisibili le argomentazioni esposte dal PM nella richiesta di archiviazione, che qui si intende integralmente riportata e trascritta”.

In buona sostanza, dunque, si tratta di una sentenza che delinea quali sono gli spazi di movimento di quei forum interamente dedicati al peer-to-peer. Ai sensi della legge sul diritto d’autore, infatti, l’autorità giudiziaria non ha rilevato alcuna violazione. “Osservato che al di là dei problemi di prova – si legge ancora nella richiesta di archiviazione – non sembra o almeno non è pacifico che le condotte che si vogliono censurare penalmente abbiano tale rilevanza”.

Che la notizia così come apparsa ieri inducesse a erronee conclusioni ha comprensibilmente voluto metterlo in evidenza Enzo Mazza , presidente di FIMI in una comunicazione a Punto Informatico . Mazza ha anche sottolineato che l’unico effetto della sentenza è la non perseguibilità dei siti che si riferiscono al P2P . “Il GIP di Roma – ha sottolineato peraltro FIMI – si è semplicemente riferito a singoli siti che offrono informazioni relative a programmi per fare P2P e non all’attività di singoli utenti, che invece resta reato così come previsto dalla normativa italiana”. FIMI ricorda le sanzioni penali previste per la condivisione e le aggravanti per chi lo fa a scopo di lucro.

L’interesse per la sentenza è però comprensibile, perché costituisce una possibile barriera contro denunce di rilevanza penale scagliate contro ignoti perché frequentatori di certi forum online: non è possibile denunciare un’autostrada perché si ritiene che su di essa viaggino anche merci illegali .

Ed è in questo quadro che esprime soddisfazione anche Fiorello Cortiana , membro della consulta sulla governance di Internet, secondo cui “il Tribunale di Roma ha molto saggiamente distinto le responsabilità personali delle azioni messe in atto nello spazio virtuale di Internet da quelle dei servizi e delle applicazioni per la navigazione in rete”. Cortiana spera che la decisione “faccia giurisprudenza e metta fine ai tentativi oscurantisti e impraticabili di precludere la Neutralità della Rete , favorendo invece gli sviluppi delle pratiche innovative virtuose come l’introduzione del fair use e l’uso delle licenze Creative Commons”.

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Pubblicato il
25 gen 2008
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