Ogni anno buttiamo via milioni di dispositivi elettronici. Nel 2022 abbiamo prodotto oltre 62 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, abbastanza da riempire più di 1,5 milioni di camion della spazzatura…
Il paradosso è che dentro questi “scarti” c’è dell’oro vero. Quello che serve per far funzionare i circuiti di smartphone, computer e tablet. Piccolissime quantità per ogni dispositivo, ma se si moltiplicano per miliardi di oggetti il conto diventa interessante. Il problema? Solo il 22% di questi rifiuti viene davvero riciclato. Il resto finisce sepolto in qualche discarica, insieme a tutto l’oro che contiene.
Addio mercurio, l’oro si estrae dai telefoni in modo sicuro
I ricercatori della Flinders University in Australia hanno trovato un modo per estrarre l’oro dai rifiuti elettronici senza usare veleni come cianuro o mercurio. Il segreto è l’acido tricloroisocianurico, in pratica il disinfettante ch si usa per pulire le piscine.
Attivato con un catalizzatore alogenuro in acqua salata, questo composto riesce a dissolvere l’oro dai materiali trattati. Successivamente, entra in gioco un polimero a base di zolfo, economico e riciclabile, che cattura l’oro anche in presenza di altri metalli.
Una volta che l’oro si attacca al polimero, lo estraggono con il calore o sciogliendo il polimero stesso. La parte bella è che il polimero si può rifare e riusare all’infinito. E i ricercatori hanno anche trovato il modo di riciclare l’acqua e i reagenti chimici, così non si spreca niente.
Un’alternativa sicura per milioni di minatori artigianali
Non è solo una questione ambientale. Questo metodo potrebbe aiutare i piccoli minatori che oggi usano il mercurio per estrarre oro. Una pratica che li avvelena e inquina i luoghi dove vivono. I ricercatori vogliono dare a queste persone un metodo più sicuro e praticabile, anche senza laboratori super attrezzati.
L’oro nei rifiuti elettronici
Il team vede grandi potenzialità nell’urban mining, ovvero il recupero di metalli preziosi dai dispositivi dismessi. Una strategia che potrebbe ridurre la dipendenza dalle miniere tradizionali e trasformare le città in nuove fonti di risorse. Lo studio è stato pubblicato su “Nature Sustainability“.