P2P, Urbani e mp3, qualche FAQ

P2P, Urbani e mp3, qualche FAQ

di Daniele Minotti - Copia privata, download di brani musicali, condivisione di file via P2P, grandi condivisori, uso personale, aggravanti, la posizione dell'on. Carlucci? Cosa si rischia in concreto?
di Daniele Minotti - Copia privata, download di brani musicali, condivisione di file via P2P, grandi condivisori, uso personale, aggravanti, la posizione dell'on. Carlucci? Cosa si rischia in concreto?

Roma – Leggendo nei forum collegati agli interventi di altri Autori pubblicati da PI ho letto, ultimamente, mille idee, mille teorie. Alcune, secondo me, piuttosto infondate, se non fantasiose. Le più recenti dichiarazioni dell’On. Carlucci mi hanno sconcertato ancor di più.
Vorrei, con queste mie note spero non troppo complicate, riassumere, dunque, le mie idee per punti distinti, sperando di non essere scambiato per il solito avvocato presuntuoso.

Copia personale e copia privata
Contrariamente a quello che si può (o che si vuole?) pensare, copia personale e copia privata non sono concetti coincidenti. La copia personale (l’unica totalmente lecita perché collegata all’equo compenso, il “sovrapprezzo” imposto sui supporti vergini e sull’hardware) consiste nella copia realizzata, personalmente (non da terzi) dal legittimo fruitore (colui, ad esempio, che possiede legittimamente il CD originale) e non destinata alla cessione. Visto da un’altra prospettiva, l’equo compenso non “compensa” (perdonate il bisticcio) i diritti non fruiti a seguito di una copia “piratata” (cioè quella realizzata senza partire da un originale legittimamente posseduto o, peggio, venduta).
Ben più ampio è il concetto di copia privata, quella cioè, semplicemente destinata alla fruizione privata, a prescindere da quanto sopra. Colui che, ad esempio, scarica (dunque riproduce) un mp3 senza possederne l’originale anche solo per goderselo in casa propria commette un illecito (normalmente amministrativo, come vedremo).

Downloader vs. Uploader
C’è differenza? Astrattamente sì, e ciò vale sia per l’aspetto tecnico che per quello giuridico. Anticipo che il download per uso personale non è punito penalmente, mentre l’upload (che il legislatore chiama “comunicazione al pubblico mediante immissione nelle reti telematiche”) ha la sua rilevanza penale.
Ma è anche vero che taluni sistemi (es.: Emule) impongono, tecnicamente, la condivisione di quello che si sta scaricando (i download parziali) e che certi àmbiti pretendono la messa in condivisione di una certa quantità di materiali (es: gli hub di DC++), per la verità non necessariamente protetti dal copyright. Dunque la non perfetta distinzione tra downloader e uploader, con i suoi riflessi giuridici di cui oltre.

Heavy uploader
Non ha molto senso – giuridico – distinguere tra piccoli e grandi condivisori. Le disposizioni specifiche sul file sharing (art. 171-ter, comma 2, lett. a-bis, l.d.a. – e non ne rilevano altre) non distinguono. Al più – ma questo, oltre ad essere ovvio, non presenta veri profili giuridici – l’heavy uploader sarà più facilmente notato da chi ha interesse a perseguire il fenomeno del file sharing illegale.
Può, invece, aver senso parlare di grande duplicatore (se con il download si compie una riproduzione), ma soltanto se lo fa per uso non personale (vi è un’apposita aggravante – art. 171-ter, comma 2, lett. a – che fa riferimento alla quantità di opere riprodotte).

Dolo di profitto, dolo di lucro e risparmio di spesa
Della differenza tra i due concetti si è molto parlato perché, attraverso gli anni e ben prima della più recente legislazione sul file sharing, gli illeciti penali in tema di software sono passati dall’originario regime di lucro a quello di profitto (con la legge 248/2000), già previsto per le banche di dati. Da qui, una certa giurisprudenza peraltro formatasi sulla scorta di quanto concluso in ordine ai reati contro il patrimonio (es.: furto).
Ma che differenza c’è, in pratica? Basta immaginare due cerchi concentrici: il profitto di raggio più ampio, dentro il lucro. Quest’ultimo consiste in un vantaggio patrimoniale diretto (es.: danaro), mentre al di fuori del suo perimetro stanno le soddisfazioni anche soltanto morali.
Dunque, in buona sostanza, persegue un fine di lucro chi, ad esempio, ha intenzione di fare commercio di ciò che scarica.
E il tanto menzionato risparmio di spesa? Secondo la giurisprudenza, diventa lucro soltanto in ambito imprenditoriale, dove si fa un bilancio in cui il risparmio si traduce, contabilmente, in un maggiore utile (perché non abbattuto dalla spesa di acquisto). Ma è chiaro che chi scarica anche senza intenti lucrativi, lo fa, quanto meno, per profitto (dunque, sebbene rientrante in quest’ultimo concetto, il risparmio di spesa non ha molto senso perché assorbito, appunto, dal più ampio fine di profitto).

Uso personale
E’ il punto fondamentale della disciplina perché è il vero discrimine tra penale ed amministrativo, almeno per il download.
L’uso personale è quello che rimane, appunto, nell’àmbito della sfera personale. La persona che scarica per masterizzarsi una compilation da ascoltare in auto, non commette reato. Diversamente, se il download è destinato ad una fruizione pubblica (non necessariamente in previsione di un qualche vantaggio economico) è passibile della sanzione penale.
L’uso personale ha, dunque, senso soltanto per il download, non per l’upload che, naturalmente, va al di là della sfera dell’agente. E, infatti, il legislatore, parlando della comunicazione, ha omesso ogni riferimento all’uso personale.

Aggravante e fattispecie autonoma
Sui forum a latere dei contributi sulla legislazione Urbani si è fatto un gran parlare anche di “aggravanti”. Per la verità, una questione abbastanza “esoterica” per i non giuristi, talvolta oscura anche per questi ultimi. E’ bene spendere qualche parola, in un linguaggio molto semplice, anche perché la questione può avere notevoli riflessi pratici.

Anzitutto, la contrapposizione è tra “fattispecie autonoma” e “aggravante”. Prima di vederne gli effetti, qual è la differenza? Penso sia utile ricorrere ad un esempio tratto dall’informatica, argomento che ritengo familiare per i lettori non giuristi di PI.

Supponiamo che un certo produttore di computer costruisca un computer denominato Alfa: Pentium 4, una scheda madre con un certo chipset per Pentium 4, disco SATA da 120 Mb, scheda video 3D, scheda audio 5.1, ecc. Insomma, un desktop più o meno evoluto.
Lo stesso produttore, però, ne commercializza un altro che chiama Alfa+, ma che, a parità di caratteristiche di base, contiene, in più, una scheda Wi-Fi, di serie.

Ebbene, Alfa+ non è altro che Alfa con, in più, le funzionalità wireless (installando hardware e software necessari). Giuridicamente, potremmo chiamarlo “fattispecie aggravata” perché, appunto, alla “fattispecie base” aggiunge, meramente, un'”aggravante”.
Sempre il nostro produttore, ha in catalogo, un modello chiamato Beta: biprocessore Itanium 2, scheda madre del caso, dischi in configurazione RAID e pochi altri fronzoli. In buona sostanza, un server.

E’ evidente che Alfa e Beta non hanno nulla in comune (come architettura e come funzione) e che, pertanto, Beta è, giuridicamente, una “fattispecie autonoma”, non un semplice Alfa con rete wireless (un “Alfa aggravato”, cioè “Alfa base” + componente aggiuntivo).
Portando il discorso nel giuridico, il diritto penale conosce casi in cui ci si può trovare di fronte ad Alfa, Alfa+ e Beta. E le conseguenze non sono da poco, come vedremo.

Per parlare di file sharing, molti, oramai, sapranno che la disposizione di partenza è l’art. 171-ter l.d.a. (modificato con la legislazione “Urbani”) che, però, contiene chiaramente due commi. Premesso che il primo è sicuramente un caso Alfa, cosa dire del secondo? Si tratta di Alfa+ oppure di Beta? A mio modo di vedere, il secondo comma, in mezzo a tanti Alfa+ (opinione della dottrina maggioritaria e di almeno due giudici di merito di cui mi hanno riferito i cui riferimenti, purtroppo, non sono in grado di dare), prevede un caso Beta: proprio quello che ci interessa, cioè quello descritto nella lettera a-bis) introdotta dalla recente riforma.

Infatti, tutte le lettere del secondo comma meramente aggiungono qualcosa alle corrispondenti del primo (a) numero esemplari; b) qualifica “imprenditoriale” del “pirata”; c) ruolo di promotore od organizzatore delle attività illecite di cui al comma 1), mentre la nostra lettera a-bis) si riferisce a qualcosa di molto diverso, in pratica ad un caso Beta.

Ecco le differenze più evidenti:
– tutto l’art. 171-ter l.d.a. riguarda esclusivamente le opere audio e video, mentre la lettera a-bis) del secondo comma si riferisce a tutte le opere (es.: anche al software, alle banche dati, ecc.);
– la lettera a-bis) si riferisce ad una condotta che non ha alcun corrispondente nel primo comma, riguardando l’attività di chi “in violazione dell’art. 16, per trarne profitto, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche”.

E veniamo, infine, a quello che conta realmente e, cioè, alle conseguenze che comporta il trovarsi di fronte ad un caso Beta piuttosto che ad un caso Alfa/Alfa+.

Un caso Alfa va così descritto, in termini penali: “È punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque per trarne profitto: (segue l’elencazione di tutte le lettere alternative, dalla a) alla h)”. A parte il profitto (livello molto basso di punibilità) c’è sempre il limite dell’uso personale.

Un caso Alfa+ può, invece, essere così ricostruito: “È punito (?) se il fatto è commesso per uso non personale (?) con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque (?) per trarne profitto” (seguono le varie condotte del secondo comma, dalla a) alla c), ma con esclusione della a-bis). Si tratta, come è evidente, di un mix tra il primo e il secondo comma con l’importante “eredità” dell’uso personale.

Un caso Beta, infine, è così assemblabile: “È punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque (?) in violazione dell’art. 16, per trarne profitto, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, o parte di essa”. Come è evidente, l’uso personale si è perso per strada oppure è stato scaricato ed è giuridicamente impossibile tornare indietro a prenderlo, se non con una riforma?

Le maggiori conseguenze dell’opzione Beta in luogo della Alfa+ (perché è questo il punto) sono in punto pena. Un Alfa “costa” da sei mesi a tre anni di reclusione e da cinque a trenta milioni di lire mi multa. Un Beta, da uno a quattro anni di reclusione da cinque a trenta milioni di multa.

E il caso Alfa+? Sempre da uno a quattro anni di reclusione e da cinque a trenta milioni di multa, ma con un’importante precisazione. Come il produttore di computer può, a richiesta del cliente, smontare la scheda wireless ed accordare un prezzo corrispondentemente ridotto, il giudice può, in particolari casi, applicare le pene del primo comma. E ciò, ad esempio, accade per gli incensurati a seguito di ciò che, giuridicamente, viene chiamato “bilanciamento delle circostanze” (aggravante del secondo comma vs. attenuanti generiche per l’incensuratezza). Purtroppo, essendo il caso della comunicazione telematica ex lettera a-bis), un’ipotesi Beta, il giudice non potrà accordare il trattamento più mite perché si tratta di un computer profondamente diverso (non è sufficiente smontare la scheda wireless).

Cosa si rischia in concreto?
Premesso che non mi stancherò mai di dire che il file sharing, di per sé, non è illegale perché tutto dipende da cosa si scambia (opere protette o meno), ma che quando si parla di opere protette (sottoposte a copyright) c’è sempre una sanzione (ed a prescindere dalle azioni civili che si possono subire), occorre dire che il semplice downloader che scarichi per uso personale può rischiare soltanto una sanzione amministrativa (art. 174-ter l.d.a.), mentre l’uploader può incorrere in sanzioni penali perché l’uso personale non ha senso se si “comunica” ad altri e, infatti, non è contemplato nelle novità introdotte con la più recente legislazione.

L’inesistenza di sanzioni penali per il mero downloader mi lascia, francamente, molte perplessità sulle dichiarazioni dell’on. Carlucci . La parlamentare, infatti, si è aggiunta alla schiera di coloro che vorrebbero evitare il carcere per il ragazzino che scarica qualche canzone (per la verità, non vi sono particolari differenze giuridiche se il dowloader è un maggiorenne).

Come visto, il ragazzino tanto a cuore ai nostri politici già oggi non rischia una condanna penale e, d’altro canto, proprio l’on. Carlucci, in Commissione, aveva proposto l’abbassamento del dolo (da lucro a profitto) pur dichiarando di voler lasciare fuori gli usi personali.

Il fatto è che, come già osservato, non sempre è possibile distinguere, in concreto, tra download e upload. A questi caso specifico (sebbene comune) voglio sperare si riferisse l’on. Carlucci. Ma non dimentichiamoci che, secondo il testo della legge, download per uso personale e upload sono trattati astrattamente in modo molto differente.

avv. Daniele Minotti
Studio Legale Minotti

di D.M. vedi anche:
Legge Urbani, la situazione
Zoppicano certe indagini online
Le nebbie dell’EUCD

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Pubblicato il
22 ott 2004
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