Quando ragioneremo sulla pandemia da Covid-19 forti del senno del poi, avremo dati ed esperienza sufficienti per poter trarre conclusioni ricche di giudizi onnicomprensivi. Oggi, senza poter avere un sufficiente sguardo di prospettiva, rischiamo invece di perderci in analisi parziali nelle quali dobbiamo fare uno sforzo aggiuntivo: evitare la sentenza affrettata ed accontentarci di fotografare l’incredibile ricchezza della complessità, la barocca esperienza del particolare, lo smarrimento di una visione che deve giocoforza mettere assieme tutto quel che è successo in questi mesi. Non possiamo dunque considerare come eventi a sé stanti la grande crescita che il digitale ha vissuto e la grande povertà in cui è caduto il mondo dell’intrattenimento e della cultura, ma nemmeno creare artificiosi (e inesistenti) nessi di consequenzialità.
L’eclisse della cultura
Questa visione dialogica deve formare un concetto a tutto tondo che guarda alla pandemia come ad un fenomeno nel quale una faccia brilla e l’altra muore, una fiorisce e l’altra si oscura. Uscendo da questa parentesi ci troveremo forti di nuovi strumenti, nuova organizzazione, nuove competenze, ma anche una povertà di elementi umani che in qualche modo dovremo rapidamente recuperare. Chiunque abbia un ruolo o un’ambizione per guidare il Paese fuori da queste secche, dovrà saper guardare ad ambo le facce di questo globo, intuendo in tempi rapidi cosa occorrerà stimolare e quali tasti occorrerà solleticare.
I dati dell’Osservatorio Hybrid Lifestyle di Nomisma, infatti, ci offre una fotografia particolarmente cupa del nostro Paese imbavagliato dalle stanchezze dell’isolamento:
Circa 4 italiani su 10 hanno smesso di frequentare i luoghi dell’intrattenimento e della cultura a causa della pandemia. Tra le principali motivazioni emerge il timore di essere contagiati (47%), ma anche dalle mancate opportunità e possibilità avute durante l’ultimo anno (37%).
Per lunghi mesi abbiamo cercato altrove uno sfogo per il tempo libero e per la socializzazione, dividendoci tra streaming e social network per cercare un succedaneo alla socialità. Il digitale si è rivelato essere più un metadone che non un sostitutivo, però, e ora sarà necessario recuperare gli aspetti mancanti della socialità per evitare che anche la stessa dimensione digitale resti impantanata nelle secche di un’umanità arsa e sterile.
Stimolare la cultura non significa allontanare dai social network: significa semmai fornire elementi aggiuntivi di criterio e di giudizio per accrescere i contenuti condivisi; stimolare la cultura non significa penalizzare Netflix per portare al cinema, ma punzecchiare la concorrenza per tornare ad alzare l’asticella. Nomisma invita pertanto ad investire nella cultura proprio come leva per re-iniettare emozioni vive nel cervello, aggiungendo linfa dopo i mesi nei quali solo il digitale ci ha tenuti vivi e presenti. Non serve qualcosa di sostitutivo: occorre recuperare la parte mancante, il contatto perduto, la socialità repressa.
I dati dicono che gli italiani, non appena la pandemia aveva allentato la morsa, avevano ripreso la strada dei cinema (+39%), dei musei (+36%), dei teatri (20%) e dei concerti dal vivo (+17%): una reazione d’impulso che è destinata a reiterarsi non appena anche la variante Omicron si farà da parte. A distanza di 3 anni dall’ultima annata normale, però, tutto è cambiato, tanto che ormai prenotazioni e acquisti online son diventati normalità anche laddove erano eccezion:
Le modalità di acquisto del biglietto di ingresso ai luoghi della cultura e dell’intrattenimento vedono prevalere il digitale (46%) – sia online sul sito della struttura che online su altri siti; si tratta principalmente delle fasce d’età 30-44 e 18-29, e di italiani che vivono nel centro e nel nord Italia. Teatro, museo e stadio sono i luoghi della cultura e dell’intrattenimento che più si “sono sposati” con la tecnologia digitale per l’acquisto di biglietti. Quasi 4 italiani su 10 preferiscono invece acquistare alle casse il giorno stesso della visita al percorso culturale o dello spettacolo.
Nessuno correli la luce del digitale con il buio della cultura, poiché non v’è correlazione nei due fenomeni. La pandemia, semplicemente, ha impattato in modi opposti su queste due dimensioni che, anzi, possono nutrirsi a vicenda e creare sinergie fondamentali per il futuro del Paese. La fotografia di quanto accaduto sia la base per le politiche interventiste dei mesi a venire, quando ci saranno grosse ferite da curare nella mente di una intera popolazione e di tante piccole comunità: il digitale se ne faccia carico, forte della fiducia che si è guadagnata tra i singoli e del palcoscenico conquistato quando un virus non ci ha più resi popolo, ma individui.