PMI e PA, il lavoro sarà agile: i dati del Polimi

PMI e PA, il lavoro sarà agile: i dati del Polimi

Il Politecnico di Milano ha tratteggiato il futuro prossimo dello smart working: sempre più aziende e PA lo stanno prendendo in considerazione.
PMI e PA, il lavoro sarà agile: i dati del Polimi
Il Politecnico di Milano ha tratteggiato il futuro prossimo dello smart working: sempre più aziende e PA lo stanno prendendo in considerazione.

I dati del Politecnico di Milano dipingono un quadro roseo per lo smart working. Il fenomeno è esploso in tempo di pandemia ed ha iniziato a ritracciare nel momento in cui i vaccini hanno reso possibile il rientro in ufficio, ma secondo la ricerca portata avanti dal Polimi si tratta di un semplice assestamento. Non si tornerà alla “normalità”, insomma, ma ad una “nuova normalità” nella quale sia le aziende che la PA andranno a prevedere lo smart working come nuovo appetibile ingrediente da sfruttare nel mix della propria organizzazione.

Lavoro agile: il futuro è oggi

I dati del Polimi relativi al mese di settembre (al rientro al lavoro dopo la stagione estiva) calcolavano “1,77 milioni di lavoratori agili nelle grandi imprese, 630mila nelle PMI, 810mila nelle microimprese e 860mila nella PA“. Ma il dato più interessante è quello prospettico: l’81% delle grandi imprese ha progetti di lavoro agile in programma (erano il 65% nel 2019), il 53% delle PMI (erano il 30%) e il 67% nella PA (erano il 23%). Laddove c’era scarsa apertura nei confronti dello smart working, insomma, sembra essersi sfondato un muro di incomprensione e di scarsa conoscenza: l’impatto forzato della pandemia ha quindi avuto influssi positivi che ora andranno a riverberarsi nei progetti delle aziende per gli anni a venire:

Questo graduale rientro in ufficio non segna in generale un declino dello Smart Working, al contrario al termine della pandemia le organizzazioni prevedono un aumento degli smart worker rispetto ai numeri registrati a settembre: si prevede saranno 4,38 milioni i lavoratori che opereranno almeno in parte da remoto (+8%), di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700mila delle PMI, 970mila nelle microimprese e 680mila nella PA. […]

Lo studio ha il merito di mettere in risalto non soltanto i progetti di smart working, ma anche l’impatto che lo stesso ha avuto sulle aziende durante i mesi della pandemia, primo vero test massivo con cui il sistema Italia ha adottato questa modalità di lavoro per limitare l’impatto delle chiusure forzate dei mesi dell’emergenza sanitaria. Ne scaturiscono vantaggi e svantaggi di un fenomeno che deve ancora essere studiato e compreso appieno, prima di poter intervenire dal punto di vista normativo per consentire piena efficacia operativa e – al tempo stesso – pieno rispetto dei diritti del lavoratore:

La scelta di proseguire con lo smart working è motivata dai benefici riscontrati da lavoratori e aziende. L’equilibrio fra lavoro e vita privata è migliorato per la maggior parte di grandi imprese (89%), PMI (55%) e PA (82%). Ma la combinazione di lavoro forzato da remoto e pandemia ha avuto anche conseguenze negative sugli smart worker: è calata dal 12% al 7% la percentuale di quelli pienamente “ingaggiati”, il 28% ha sofferto di tecnostress, il 17% di overworking.

Per la politica si apre una stagione intensa di studio sul tema: lo smart working può essere il filo conduttore di un nuovo ripensamento sul mondo del lavoro, segnando un cambiamento di grande impatto anche a livello sociale.

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Pubblicato il 8 nov 2021
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