Quando un chip diventa cubico

Quando un chip diventa cubico

Non è una semplice sovrapposizione di chip, ma un vero e proprio processore tridimensionale. Il Rochester Cube è già fra noi
Non è una semplice sovrapposizione di chip, ma un vero e proprio processore tridimensionale. Il Rochester Cube è già fra noi

Non si tratta di tentativi analoghi a quelli fatti in passato, ma di una vera e propria rivoluzione progettuale: nasce il Rochester Cube , chip progettato e costruito per ottimizzare tutti i processi chiave in modo verticale , esattamente come i normali chip sviluppano in orizzontale la propria potenza di calcolo.

“Lo chiamo cubo perché ormai non è più un chip”, dice Eby Friedman, professore di Ingegneria Elettrica ed Informatica dell’ Università di Rochester , co-creatore del chip. “È così che il computing dovrà essere in futuro. Quando i chip sono coesi l’uno con l’altro, possono far cose che mai si sarebbero potute fare con un normale chip 2D “.

Ciò che rende possibile l’esistenza di un’architettura come quella progettata dal professor Friedman e dai suoi studenti è un sapiente impiego di tutti i “trucchi” già adottati dagli ordinari microprocessori, unito a molteplici altre accortezze: più livelli impilati e unificati in questo modo richiedono di considerare parametri quali impedenze diverse tra chip e chip, velocità operative non perfettamente uguali o diverse richieste energetiche, per arrivare ad un blocco unico che funzioni come un “tutt’uno”, e non come somma di chip.

Anche il processo di fabbricazione è unico. Costruito con l’aiuto del Massachussetts Institute of Technology ( MIT ), il chip richiede che gli siano praticati alcuni milioni di fori sugli strati isolanti che separano i layer , per consentire la miriade di connessioni verticali tra un livello e l’altro. “Stiamo arrivando ad un punto in cui le architetture non possono scalare oltre? – si chiede il luminare – La risposta è sì, ma solo orizzontalmente: per questo ora ci concentriamo sull’espansione verticale, una direzione che non avrà mai fine. Almeno non nell’arco della mia vita. Dovrete parlarne con i miei nipoti”.

Il Rochester Cube è già tangibile, a differenza dei computer quantici, da tempo agognati ma tutt’oggi racchiusi e confinati , o quasi, tra le quattro mura dei laboratori degli atenei. Certo, se Cray avesse atteso un pochino , avrebbe potuto realizzare i suoi mostri del desktop ancora più piccoli, e magari a prezzi più accessibili di 25mila dollari.

Marco Valerio Principato

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Pubblicato il
19 set 2008
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