Spotify ha appena annunciato l’ennesimo aumento del prezzo dell’abbonamento Premium che colpirà gli utenti in Europa, Africa, Medio Oriente, America Latina, Asia-Pacifico e Sud Asia. Da settembre, il piano Individual passerà da €10,99 a €11,99 al mese. Oramai, ogni trimestre di risultati positivi si traduce automaticamente in un aumento dei prezzi…
Spotify Premium, l’ennesimo rincaro è servito
Spotify Premium è nato nel 2008, ma per 15 anni il prezzo è rimasto stabile. Poi, a luglio 2023 è arrivato il primo aumento. Da 9,99 dollari è passato a 10,99 negli Stati Uniti. Un anno dopo, altro aumento, 11,99 dollari. In due anni il prezzo è aumentato del 20%. E ora tocca al resto del mondo seguire la stessa traiettoria ascendente.
È come se Spotify avesse scoperto una formula magica: ogni volta che i risultati finanziari sono buoni, si può chiedere di più agli utenti. Perché no? Brontolano un po’, ma poi pagano. Tanto Apple Music costa uguale, e ricominciare da zero con le playlist è una tortura.
Spotify sa di potersi permettere questi aumenti. Per milioni di persone, cancellare Spotify significherebbe perdere anni di playlist curate, raccomandazioni personalizzate, e l’abitudine digitale più consolidata della loro giornata.
L’annuncio arriva pochi giorni dopo i risultati del Q2 2025. Spotify ha superato le aspettative con 696 milioni di utenti attivi mensili (+11% anno su anno) e 276 milioni di abbonati Premium. Risultati eccellenti, ma evidentemente non abbastanza da evitare di chiedere più soldi agli utenti.
La strategia del piano Basic
Per addolcire la pillola, Spotify ha introdotto un piano Basic a 10,99 dollari senza gli audiolibri, per avere l’illusione di poter scegliere qualcosa di più economico rinunciando a qualche funzionalità…
Ma Spotify non è sola in questa corsa al rialzo. Netflix ha bloccato la condivisione delle password, altri servizi aumentano i prezzi regolarmente. È diventato il modello standard: conquistare gli utenti con prezzi bassi, poi alzarli gradualmente quando la dipendenza è consolidata.
Quello che rende ancora più frustrante questo aumento è che i ricavi pubblicitari di Spotify sono diminuiti nel secondo trimestre. Quindi, mentre l’azienda fa meno soldi dalla pubblicità, decide di compensare chiedendo di più agli abbonati Premium.
La promessa mantenuta: niente pubblicità (per ora)
Almeno Spotify ha smentito le voci sull’introduzione della pubblicità per gli abbonati Premium. È una piccola vittoria per gli utenti, ma considerando la tendenza agli aumenti di prezzo, quanto durerà questa promessa? È probabile che tra qualche anno vedremo anche questo tabù cadere, con la scusa di ottimizzare l’esperienza utente o supportare gli artisti.
Stiamo assistendo alla trasformazione della musica da bene culturale accessibile a servizio premium. Ogni anno, ascoltare musica costa di più, e non c’è nessun motivo tecnico che giustifichi questi aumenti: i server costano meno, la banda larga è più economica, gli algoritmi sono più efficienti.
Gli aumenti servono solo a massimizzare i profitti di un servizio che è diventato troppo importante per essere abbandonato.