UK, ISP per l'autocensura del P2P

UK, ISP per l'autocensura del P2P

Tra le tante iniziative che si susseguono nel calderone dell'antipirateria britannica spunta quella dell'autocontenimento. Con i genitori a fare da guardiani alle abitudini di sharing dei figli. Mentre industria e ISP si beccano a vicenda
Tra le tante iniziative che si susseguono nel calderone dell'antipirateria britannica spunta quella dell'autocontenimento. Con i genitori a fare da guardiani alle abitudini di sharing dei figli. Mentre industria e ISP si beccano a vicenda

Il vento dell’antipirateria e delle disconnessioni forzate degli scaricatori impenitenti spira forte per le lande oltremanica, e mentre Lily Allen decide di dare una scossa alla sua popolarità sul Web donando consigli su cosa sia giusto e cosa sbagliato, i provider valutano tutte le possibili alternative allo scontro frontale con l’industria multimediale : che tenta di fare pressione per incuneare la sua volontà di vincere a tutti i costi la partita delle intermediazioni e della responsabilità dell’infrastruttura rispetto ai dati su di essa transitanti.

Un’idea originale l’ha avuta Carphone Warehouse , società proprietaria del provider Talk Talk che a memoria dovrebbe essere la prima a introdurre una serie di filtri progressivi sulle comunicazioni telematiche, applicabili attraverso un sistema di parental control dall’intestatario della connessione per la salvaguardia della propria prole o anche solo della legalità del contratto telefonico presso gli sguardi occhiuti delle major multimediali.

I livelli di filtro previsti da Talk Talk permetteranno di bloccare siti e contenuti pornografici, gioco d’azzardo e i portali BitTorrent , rendendo quantomeno più difficile la vita a chi già in tenera età non ha probabilmente bisogno di molte spiegazioni riguardo a cosa sia il P2P, come si usi e a cosa serva.

“Si tratta di qualcosa che andremo a introdurre comunque, come servizio per i nostri clienti”, quasi si giustifica il CEO di Carphone Charles Dunstone, aggiungendo poi che il sistema aiuterà indubitabilmente anche “l’industria dei contenuti inserendo in blacklist i siti che ospitano file BitTorrent”. Il provider prepara insomma un contentino per le major, nella speranza che qualcuno non decida di spingere il piede sull’acceleratore di questa “guerra delle connessioni” chiamando alla sbarra gli ISP come corresponsabili della “pirateria” telematica.

D’altronde la British Phonographic Industry (BPI) sembra oramai convinta che la suddetta corresponsabilità sia già un fatto e non più un’opinione, e alle cifre di British Telecom sulle presunte stime gonfiate sulla pirateria risponde accusando l’ISP inglese di comportamento “vergognoso”, avendo BT sistematicamente ignorato le richieste di centinaia di migliaia di indirizzi IP corrispondenti ad altrettanti presunti pirati condivisori.

“È vergognoso che una società come BT sappia che un’alta percentuale del traffico che veicola è costituito da materiale illegale ma non faccia nulla a riguardo” dice il CEO di BPI Geoff Taylor, avvertendo che “se sei responsabile di un servizio commerciale e sai che esso viene utilizzato per infrangere la legge, prendere le dovute misure per assicurarti che il suo utilizzo sia legale fa parte del costo del tuo business”.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 30 set 2009
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