UK, no all'esilio da Internet per i molestatori

UK, no all'esilio da Internet per i molestatori

Una corte di appello di Londra ha stabilito che vietare l'accesso alla Rete ai condannati per reati sessuali è una pena eccessiva. E' sufficiente, invece, la sorveglianza agli account incriminati
Una corte di appello di Londra ha stabilito che vietare l'accesso alla Rete ai condannati per reati sessuali è una pena eccessiva. E' sufficiente, invece, la sorveglianza agli account incriminati

Esiliare dalla Rete chi si è macchiato di reati a sfondo sessuale? Una corte britannica ha stabilito che impedire l’uso di Internet ai molestatori è una irragionevole compressione dei diritti civili.

Il pronunciamento arriva a pochi giorni dalla proposta di legge californiana che intende obbligare i condannati per reati sessuali a fornire l’identità reale in Rete, proposta liberticida secondo i gruppi per i diritti civili online, la cui ammissibilità attende di essere confermata dalle autorità giudiziarie.

Secondo Justice Collins, giudice presso la corte di appello di Londra, “è completamente insensato vietare a chiunque l’accesso a Internet attivato presso la propria abitazione”. La sentenza si riferisce al caso di tale Phillip Michael Jackson, cittadino inglese condannato per reati sessuali per il fatto di aver spiato una ragazza quattordicenne sotto la doccia dopo aver nascosto il proprio smartphone all’interno di un flacone di shampoo. Le successive indagini della polizia hanno scoperto immagini pedopornografiche nel PC di Jackson.

Quest’ultimo è dunque ricorso in appello contro la pena inflittagli in base alle disposizioni contenute nel Sexual offenses prevention order (SOPO), in base alle quali non avrebbe potuto possedere un computer , utilizzare un telecamera in pubblico e lavorare con i bambini. La polizia aveva inoltre ricevuto un mandato per perquisire l’abitazione del condannato in qualunque momento.

Secondo i giudici della corte di appello, la precedente sentenza si caratterizza per essere “decisamente eccessiva”. L’imputato dovrà ora semplicemente rendere accessibili alla polizia i propri dati di navigazione . Una sentenza che potrebbe diventare un precedente giuridico utile a riaprire altri casi che vedono coinvolti individui a cui, per altri reati, è stato inflitto il divieto di accesso a Internet.

Cristina Sciannamblo

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Pubblicato il
15 nov 2012
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