Un passo oltre il fast fashion c’è l’ultra-fast fashion. A spiegarlo è il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, riunito intorno al Tavolo della Moda per presentare le proprie misure di contrasto al fenomeno. Il reggente del dicastero, Adolfo Urso, lo ha definito una minaccia diretta alla sicurezza, alla salute e ai diritti dei consumatori
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La crociata del ministro contro l’ultra-fast fashion
Il ministro ha utilizzato anche parole più pesanti, evocando immagini bibliche: un’invasione di cavallette senza precedenti, anche come conseguenza indiretta dei dazi americani
. Di cosa si tratta, nel concreto? Del commercio dei capi di vestiario proposti a prezzi stracciati e molto spesso provenienti dall’estremo oriente, Cina in primis.
Quali sono le misure nazionali ed europee a cui fa riferimento? La più importante (e impattante) riguarda il dazio di 3 euro voluto dall’Ue, che dal luglio 2026 sarà applicato su tutti i pacchi di valore inferiore a 150 euro. Questo, va detto, renderà più cara qualsiasi spedizione intercontinentale, anche quelle che non hanno nulla a che vedere con l’ultra-fast fashion. C’è poi la tassa extra di 2 euro per tutti i pacchi, anche quelli che circolano esclusivamente in Italia, introdotta con un emendamento alla legge di bilancio.

Se intorno ai tavoli della politica (e della moda) si esulta e ci si picchiano sonore pacche sulle spalle in segno di approvazione, è probabile che a pagarne il prezzo siano ancora una volta più gli utenti finali di chi alimenta una filiera poco trasparente. L’Italia e l’Europa hanno scelto di percorrere la via delle imposte extra nel tentativo di arginare il fenomeno, senza attuare strategie di lungo termine per far sì che il mercato possa evolvere in modo sostenibile e rispettoso di tutte le parti in gioco: i produttori, i lavoratori (troppo spesso dimenticati), i responsabili della logistica e i clienti. Di certo, è la soluzione più immediata ed efficace per far cassa.