Urbani, legge brutta. Con un però

Urbani, legge brutta. Con un però

di Giorgio Lunardi - Una lettura diversa della contestata normativa mette al sicuro gli utenti domestici che fanno uso personale del file sharing. Ma apre inquietanti punti interrogativi
di Giorgio Lunardi - Una lettura diversa della contestata normativa mette al sicuro gli utenti domestici che fanno uso personale del file sharing. Ma apre inquietanti punti interrogativi


Roma – Si è fatto un grande baccano intorno al decreto Urbani, recentemente trasformato in legge con modifiche dell’ultimo momento che ne avrebbero mutato radicalmente la struttura ed inasprito il regime sanzionatorio. Si è tacciato il Ministro di incompetenza e di aver favorito in maniera eccessiva le major del cinema e della musica, a scapito degli utenti domestici. Ma è davvero andata così? Vale a dire, si è effettivamente inasprito il regime a carico di chi scarica da casa ad uso esclusivamente privato file musicali o film?

La chiave di lettura non dovrebbe essere nell’interpretazione, a mio parere, affrettata, che ne hanno dato i (pochi) giornali che se ne sono occupati. Bisogna leggere attentamente la legge Urbani in relazione alle altre, già vigenti, e a cui si fa un rimando.

In particolare, bisogna riferirsi alla legge 18 agosto 2000, n. 248, in vigore dal 1 settembre 2003. La legge 248/2000 apporta sostanziali modifiche alla disciplina della legge 633 del 1941: si legga la modifica all’art. 171-ter: “L’art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633, è sostituito dal seguente: Art. 171-ter.-1. É punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque a fini di lucro:
a) abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento.”
Si legga ora l’art. 1, n. 2 della legge Urbani: “Al comma 1 dell’art. 171-ter della legge 22 aprile 1941 n°633 se successive modificazioni, le parole: “a fini di lucro” sono sostituite dalle seguenti: “per trarne profitto”.
3. Al comma 2 dell’articolo 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, dopo la lettera a) è inserita la seguente:

“a-bis) in violazione dell’articolo 16, per trarne profitto, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, o parte di essa;”.
Ebbene, se è vero che la locuzione “a fini di lucro” è stata sostituita con quella più ampia di “per trarne profitto”, tuttavia non è stato toccato l’aspetto più importante: il fatto è punito solo quando commesso per un uso non personale (1)

Questo dovrebbe mantenere la liceità della copia privata, inclusa quella ottenuta tramite internet, in quanto ad uso personale. Il reato si commette e viene giustamente punito, quando dal fatto di ottiene in ingiustificato profitto per fini non personali, si pensi ad esempio a chi commercia cd o dvd falsi.

A mio parere quindi, nonostante il grande clamore, chi da casa utilizza sistemi di condivisione, non commette un illecito penale (e ci sarebbe da discutere anche sul versante amministrativo, infatti nella legge n. 248/2000 e nella legge Urbani, non sono specificate sanzioni amministrative a carico di chi compie il fatto per uso personale), posto che comunque una parte dei proventi derivanti dall’aumento dei supporti digitali e dei masterizzatori, andrebbe a carico di un fondo per il diritto d’autore (il cosiddetto equo compenso). Più preoccupati dovrebbero essere (e lo sono) i prestatori di servizi della società dell’informazione, gravati da sanzioni sproporzionate e a cui sono attribuiti compiti di vigilanza e delazione alquanto dubbi. Esenti da ogni gravame, i fornitori di connettività, cui è riservato un trattamento di favore. Altro aspetto, se vero, che desterebbe preoccupazione semmai sarebbe quello che delega alla DIGOS il compito di raccogliere le segnalazioni e effettuare i controlli, cosa assolutamente enorme, posto che sicuramente in prima fase di applicazione della legge ci saranno sicuramente problemi di interpretazione anche circa l’effettivo ruolo di un organismo deputato alla prevenzione di crimini gravi.

In sostanza, nessuno può essere punito penalmente se si scarica musica o film da internet ad uso personale, posto che nel nostro ordinamento giuridico l’interpretazione della legge penale è rigida.

Amministrativamente la cosa non dovrebbe comportare sanzioni (da una lettura rapida del sistema di norme non mi sembra a prima vista di scorgerne), inoltre è molto interessante l’orientamento dei giudici italiani, che soprattutto in occasione di una sentenza (n.320/03 del 18 marzo 2003, Tribunale di Arezzo), assolveva il reo di essersi procurato e aver diffuso via internet (addirittura ponendo in commercio!), materiale ludico e sonoro (reato commesso prima del 24 agosto 2001).

Interessante perché nella stessa direzione di altre corti straniere che tendono a legittimare il comportamento dell’utente domestico. Questa tendenza deve far riflettere sul fatto che i nuovi orizzonti della tecnica hanno ormai travolto tutti i settori dell’arte e dell’ingegno, e chiedono una soluzione diversa da quella meramente repressiva, con misure da stato di polizia da più parti insistentemente richieste. La legittimazione dei comportamenti degli utenti domestici deve corrispondere al riconoscimento in costoro della qualifica di clienti di materiale discografico e cinematografico, e non di ladri e deve richiedere alle case discografiche e di distribuzione uno sforzo concreto per modificare, alla luce di internet, il sistema dei compensi agli artisti, che corrisponda anche al reale valore dell’opera e delle esigenze delle nuove generazioni.

Il problema dell’interpretazione della Legge Urbani è solo all’inizio e rischia quindi di trasformarsi in un clamoroso caso di coscienza per chi si troverà ad applicare una normativa così confusa.

Ho preso in esame alcune sentenze della Corte di Cassazione, (Cassazione penale, sez. VI, 19 aprile 2000, n. 6282; Cassazione penale, sez. IV, 29 febbraio 2000, n. 1472; Cassazione penale, sez. IV, 28 ottobre 1999, n. 14515), segnalatemi come esempio per cercare di trovare una soluzione circa l’uso personale o non personale , come inteso dal legislatore nella legge sul Diritto d’Autore n° 633/1941, non trovandovi elementi d’aiuto per risolvere la questione, anche perché la disciplina delle sostanze stupefacenti riguarda il commercio, la detenzione e l’uso di sostanze in sé illecite, mentre un film o una canzone non sono illegali!

Vero è che la Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n.43670/2002, sempre in tema di stupefacenti, riguardo il concetto di uso personale, pare avere un orientamento leggermente diverso e più vicino al quello della fruizione tra amici di un’opera d’ingegno riuniti in gruppo per ascoltare un cd scaricato da internet. Ma, ripeto, accostare due materie così distanti tra loro, rischia di ingenerare confusione: la locuzione uso personale o uso non personale è in effetti l’unico elemento in comune tra fattispecie diverse. Inoltre nelle sentenze citate, compare l’elemento del lucro, (la provenienza da spaccio, cioè acquisto, delle sostanze stupefacenti, rapporto di tipo economico, ancorché illegale), mentre nel P2P, il rapporto tra utenti è all’insegna della gratuità o al massimo del profitto (mai del lucro). Questa è la dimostrazione che la confusione regna sovrana innanzitutto perché ci si trova di fronte ad una realtà nuova e spesso sconosciuta, dai profili misteriosi ed indefiniti. La fattispecie che più si avvicina alla nostra materia è la disciplina della copia privata, con tutte le sue implicazioni. In particolare, la disciplina della copia privata, riconosciuta lecita, ( Legge 5 febbraio 1992, n. 93 ) ed anzi un diritto dell’acquirente, prevede il pagamento, all’atto dell’acquisto di supporti vergini, di masterizzatori, etc., di una quota a favore degli autori, e questo indipendentemente dall’uso che si faccia del supporto (database personali, le mie foto digitali, la mia corrispondenza e così via).

È chiaro a questo punto che anche il fine di trarre profitto previsto dal legislatore, perde rilevanza, dal momento che, il magro accrescimento anche solo latamente economico, viene comunque compensato dal versamento di una tassa alla Siae all’atto dell’acquisto di supporti destinati a contenere la copia privata (o nel nostro caso, il file – sempre di qualità medio scarsa- scaricato da internet). La semplice apprensione del file musicale o cinematografico, finisce per determinare il versamento di una quota di diritti d’autore nel momento in cui esso viene riversato su cd o dvd per la visione e l’ascolto. Se poi la copia non è masterizzata ma rimane sull’hard disk, ciò è indice che la sua fruizione è del tutto limitata e momentanea, destinata alla cancellazione, quasi una “prova” della bontà di un prodotto che poi viene acquistato.

La realtà italiana si trova poi a fare i conti con altro ben più grave problema: il reale e proporzionato compenso degli autori delle opere d’ingegno. Il sistema organizzato dalla Siae, infatti, finisce per essere imperfetto, con evidenti ingiustizie e autori che non percepiscono equi compensi per quanto creato ( http://www.report.rai.it/2liv.asp?s=82 ). Ma questo tema rischia di allontanarci dal vero problema (rimane che l’acquisto di un supporto vergine poi utilizzato per memorizzarvi dati assolutamente personali e privati, non coperti da copyright, finisce, di fatto, per attribuire un profitto ingiustificato alla Siae!).

Uno studio dell’avv. E. Olimpia Policella evidenzia l’illiceità del “prestare” un’opera per farne una copia, ma la previsione dell’equo compenso insito nel costo dei supporti vergini, a mio avviso, supera anche quell’ostacolo. Se la norma fosse effettivamente interpretata in maniera così restrittiva, diventerebbero di colpo illecite condotte quotidiane che non lo sono, come l’utilizzo del videoregistratore o dei radioregistratori, innescando un sistema perverso che ravviserebbe illegalità in qualsiasi condotta di cittadini onesti.(2)

Altro e delicatissimo aspetto, che meriterebbe ben altri spazi è quello dell’identificazione del”reo”, che in gran parte dei casi è un minore. Come si pensa di superare l’ostacolo? Innanzitutto, è lecito controllare le condotte di soggetti che potrebbero rivelarsi minori, senza il consenso dei genitori? Pensa, il legislatore, di superare l’ostacolo con la previsione di nuove fattispecie di responsabilità penale oggettiva, vero relitto storico giuridico, per punire un soggetto diverso o chi, a prescindere da una condotta illecita, si trovi in una determinata posizione rispetto a colui che ha commesso il fatto criminoso? Non resta che ricordare quanto prevede la nostra Costituzione all’art. 27 “La responsabilità penale è personale”. Sono tutte domande che evidentemente il legislatore non si è posto, nella foga di disciplinare una materia delicata e meritevole di ben altre attenzioni.

Insomma, più si analizza la normativa e più emergono delle situazioni abnormi che lasciano perplessi.

Il fatto stesso di definire “pirati” coloro che scaricano canzoni o film da internet, finisce per criminalizzare ed accostare ad elementi delle organizzazioni malavitose dedite alla contraffazione i comuni cittadini. Si legga in proposito un articolo del prof. Paolo Spada, pubblicato al n°6/2002 de “La rivista di diritto industriale” (ediz. Giuffrè), il quale, dopo aver distinto il fenomeno criminale organizzato dall’utenza domestica, afferma: “La copia privata, all’opposto, non ha nulla della intermediazione imprenditoriale nella riproduzione e nella distribuzione. E’ un fenomeno di riproduzione non intermediata (fatta da sé) funzionale all’autoconsumo dell’esemplare che dalla riproduzione risulta. Sicché non merita né è conoscitivamente utile che la si associ alla pirateria, neppure se il sostantivo fosse accompagnato da un rasserenate aggettivo come: domestica”.

Probabilmente una lettura più cosciente della normativa, da parte di chi è tenuto alla tutela del diritto d’autore, eviterebbe noiosi (e costosi) processi che si risolvono con la puntuale assoluzione dell’imputato. Viene da pensare che lo scopo velato del legislatore sia quello di proteggere l’interesse delle multinazionali dello spettacolo (non degli artisti), tramite lo strumento del processo penale, in cui, ricordiamo, le spese, a differenza del rito civile, non sono a carico della parte soccombente. Insomma, la morale è che si rischia di essere processati ed assolti perché il fatto non costituisce reato e nel contempo di doversi accollare le cospicue spese processuali. Questa sarebbe la vera sanzione ideata dal Ministro Urbani a danno degli squattrinati utenti di internet.

dott. Giorgio Lunardi

NOTE AL TESTO

(1)
È interessante leggere l’art. 171-ter integrato dalla nuova previsione legislativa:

Art. 171-ter
1. È punito, se il fatto è commesso per uso non personale , con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque a fini di lucro:
a) abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento;

“a-bis) in violazione dell’articolo 16, per trarne profitto, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, o parte di essa;”. (omissis?).

(2)
Vorrei proporre una ardita interpretazione che forse non mancherà di suscitare polemiche: dato per certo che il sistema del P2P non è in se illecito, tuttavia esso tecnicamente non corrisponderebbe all’immissione in rete di materiale a disposizione del pubblico, perché nel momento in cui avviene lo scambio di informazioni tra utenti, esso pare più simile alla corrispondenza privata telematica, con tutte le implicazioni di privacy.
Ciò perché kazaa, winmx, emule non sono “siti”, ma programmi, esattamente come outlook express per la posta, che non necessitano dell’avvio del browser. Il controllo del flusso di dati sarebbe perciò assimilabile al controllo della corrispondenza privata, quasi come il frugare nella cassetta delle lettere.

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Pubblicato il
10 set 2004
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