USA, deridere su MySpace è legale

USA, deridere su MySpace è legale

Negli USA studenti ed ex studenti giocano tiri mancini su web a docenti e presidi. Questi non ci stanno e li denunciano, ma per i giudici le loro esternazioni sono lecite
Negli USA studenti ed ex studenti giocano tiri mancini su web a docenti e presidi. Questi non ci stanno e li denunciano, ma per i giudici le loro esternazioni sono lecite

Hermitage (USA) – Non aveva affatto gradito la trovata con cui alcuni ex alunni della sua scuola avevano deciso di metterlo in ridicolo sulla rete. Pertanto Eric Trosch, preside di una scuola superiore della Pennsylvania, ha deciso di sporgere denuncia nei confronti degli autori della bravata. Ma un giudice di secondo grado gli ha dato torto

Nel dicembre 2005 quattro ragazzi avevano aperto altrettanti blog su MySpace a nome del loro ex preside, dipingendolo in alcuni casi come un consumatore di droghe, un sadico e un amante del sesso violento. Nonostante questi spazi abbiano avuto vita breve, essendo stati prontamente chiusi dai gestori della community, la scuola decise di continuare l’azione legale, non ritirando la denuncia per diffamazione.

Uno degli studenti, Justin Layshock, che all’epoca dei fatti aveva 17 anni, fu allontanato dalla scuola e indirizzato in un istituto alternativo mentre ai suoi compagni furono imposti invece solamente provvedimenti disciplinari. Per questo motivo, la famiglia del giovane è ricorsa vittoriosamente in appello, sostenendo che la sentenza emessa dai giudici non rispettava quanto stabilito dal Primo Emendamento, che garantisce la libertà di parola e di espressione. Grazie a quella tutela costituzionale, anche un’altra studentessa, rea di aver creato un blog su MySpace a nome del direttore della sua scuola, ha evitato, con l’assoluzione in appello, una pena di nove mesi con la condizionale a cui la corte di Putnam (Indiana) l’aveva condannata.

I meno attenti alle cose della rete non avevano risparmiato critiche a MySpace “per aver permesso” la realizzazione di quei blog, ma ora è stato stabilito che quello che si voleva far passare come un atto di giustizia non era altro che un mero tentativo di impedire la libera espressione dei giovani su Internet.

Giorgio Pontico

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Pubblicato il
12 apr 2007
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