Verba volant, social manent: il caso di Mondovì

Verba volant, social manent: il caso di Mondovì

Un video su Tik Tok fatto di razzismo e misoginia, le reazioni sconsiderate sui social, il raid punitivo che crea danni ulteriori: il caso Monregale.
Verba volant, social manent: il caso di Mondovì
Un video su Tik Tok fatto di razzismo e misoginia, le reazioni sconsiderate sui social, il raid punitivo che crea danni ulteriori: il caso Monregale.

Chi ha pochi minuti di tempo si fermi su questa pagina assieme a noi. Lo dobbiamo a noi stessi, a chi ha giocato a pallone in vita sua, a chi sa cosa significa pulire gli spogliatoi, a chi ha allenato squadre di bambini, a chi ha affidato i propri figli ad associazioni sportive. La cosa è doverosa per fare una passeggiata attorno ad un argomento che nelle ultime 24 ore è stato affrontato da troppi soltanto frontalmente, senza il tempo, la voglia, l’impegno e la curiosità di guardarlo a tutto tondo per comprenderne la complessità. Il caso è quello del ragazzo del Monregale Calcio, ed il problema è anzitutto esattamente questo: perché improvvisamente è diventato il ragazzo del Monregale Calcio e non il ragazzo di TikTok? La domanda non è banale, perché questo ha creato uno tsunami social incredibile, esondato fino alle homepage dei quotidiani online ed arrivato infine negli uffici stampa dei ministeri.

Venite con noi, facciamoci un giro. Si parte da Mondovì, provincia di Cuneo. Gireremo attorno alla questione, per vederne tutte le sfaccettature. E ne usciremo con un’opinione forse immutata, ma sicuramente arricchita.

Effetto ventilatore

La storia inizia mesi fa su TikTok: un ragazzo pubblica un video dai contenuti raccapriccianti, nel quale proferisce frasi prive di logica, condite di pesantissimo razzismo e spudorata misoginia. Nel video sono narrate inoltre vicende che in qualche modo mettono a nudo l’approccio del ragazzo stesso con la vita, che deride l’auto della vittima delle sue invettive, che si vanta di aver evitato il pagamento di una sanzione, che ammette una falsa testimonianza di fronte alle autorità. Ce ne sarebbe abbastanza per scrivere capi d’accusa in abbondanza, ma non è questo il problema: questa è solo la scintilla. Il problema è che la scintilla non sa su quanta benzina andrà a cadere. Né può prevedere quale reazione possa scatenare. In questo caso l’incendio ha investito tutti e tutto, lasciandosi alle spalle una trafila di danni incalcolabile.

Sono disgustato per le frasi razziste e sessiste […] pronunciate dal giovane calciatore del Monregale Calcio, che giustamente ha preso provvedimenti e sospeso il calciatore. Lo sport deve essere veicolo di trasmissione di valori sani: non è accettabile che uno sportivo, un ragazzo giovane, si esprime in questo modo.

Vincenzo Spadafora, Ministro dello Sport

Bisogna cominciare con il riportare tutto nelle sue dimensioni originarie. Una “testa calda” come troppe ce ne sono, calata in una squadra di pallone di seconda categoria come molte ce ne sono, ed una vita come tante ce ne sono: famiglia, amici, scuola e quant’altro. Ad un certo punto un grave errore (non staremo a ricordare la storia dello “scagli la prima pietra”), infine il deplorevole video (che con una certa ingenuità si sta cercando ora di derubricare ad una dimensione personale involontaria, quando è chiaro come pubblicando su TikTok si stia facendo tutto fuorché un atto privato): il tutto aleggia nella sfera ovattata della bella cittadina monregalese, probabilmente tra chi fa spallucce e chi spiega il tutto con un “ha sempre fatto così”, sicuramente con non pochi sguardi complici di cui da sempre il bullismo si nutre nella sua smodata fame di ego.

Ma succede che il video arrivi tra le mani di una community particolarmente recettiva, la quale tra Facebook e Twitter sente il bisogno di coalizzarsi in favore dell’attivismo. Insomma: non si può far passare così l’accaduto, bisogna fare qualcosa. Qui il mondo attorno alla vicenda si divide tra chi sapeva, ma non ha reagito, e chi ha appena scoperto e sente la smodata necessità di agire.

Agire. Reagire. Punire.

Agire. Agire che corrisponde a punire. Non è una volontà precisa, sia chiaro, né la colpa può essere fatta ricadere sulla Pagina che ha rilanciato l’accaduto: semplicemente è questa la dinamica che di solito emerge quando a muoversi è una collettività (lo si può spiegare in parte attingendo alla psicologia delle masse e in parte alle conseguenze dell’esperimento di Milgram). Agire significa così sete di giustizia, ma senza il tempo ed i meccanismi della Giustizia vera: bisogna uscire dal post con la soddisfazione di aver fatto qualcosa per salvare il mondo dalle ingiustizie. Ecco quindi che la coalizione emerge spontanea e la discussione diventa raid punitivo. L’azione ha un cambio di marcia quando oltre all’esprimere opinioni ci si aspettano anche conseguenze: non sono solo parole, perché da queste parole si auspicano risultanze concrete. L’idea diventa azione nel momento in cui si presenta assetata di conseguenze: altro che social, si va ben oltre.

Ci si scaglia quindi anzitutto sulla pagina Facebook del Monregale Calcio, insultando società e dirigenti: sono tutti volontari che lavorano con il proprio tempo e la propria buona volontà per promuovere sport e aggregazione, ma improvvisamente diventano nelle accuse dei delatori, degli spalleggiatori, a loro volta dei razzisti. Qualcuno se la prende con il Monreale Calcio (dall’altro capo dell’Italia), ma chissenefrega, sai che soddisfazione aver comunque insultato qualcuno, tanto meglio se è nel mondo del Calcio. Qualcuno se la prende con la FIGC, la quale ha sicuramente ben più di una colpa nella gestione del pallone negli ultimi decenni, ma non ha certo responsabilità sui video TikTok dei ragazzi. Qualcuno va oltre e se la prende con gli sponsor, illuminato dal nesso per cui solo affossando economicamente la società si potrebbe ottenere il risultato di far ricadere le colpe sul ragazzo e quindi intascare l’agognata vendetta.

Il raid punitivo arriva in massa: migliaia di commenti sulla pagina del Monregale Calcio, ove sicuramente non ci sono staff di persone disponibili per la moderazione, né esperti formati in tal senso, né tempo e risorse per poter gestire una cosa del genere. Si prova dapprima a cancellare i commenti per riportare il bubbone (ormai esploso) nell’alveo ovattato della provincia piemontese: tentativo non solo vano, ma ingenuo e deleterio. I commenti si moltiplicano ulteriormente e arrivano da ogni dove, la questione deflagra, il caso diventa di interesse nazionale. Gli sponsor si trovano costretti ad agire, la squadra si trova costretta a rispondere. Un raffazzonato comunicato notifica la (pur tardiva) espulsione del ragazzo dalla rosa, dalla quale viene allontanato anche un dirigente. Altri commenti fanno ripartire da capo la vicenda, perché quando certe notizie finiscono nel ventilatore dei media non c’è più controllo su nulla, nemmeno sull’ordine cronologico delle cose. Nessuno si occupa più di ricostruire la vicenda, o di capire, o di trovare il bandolo della matassa: continuano i pesantissimi attacchi al ragazzo (con espressioni non certo distanti da quelle volgari usate dal ragazzo stesso), continuano gli insulti alla società, la società minaccia querele, gli sponsor minacciano di scappare, l’incendio continua a divampare. Si moltiplicano solo colpe e colpevoli, ma la ragione latita sempre di più. Fino a scomparire.

Passate le prime 24 ore la notizia scompare dai media, i social trovano altre cose su cui concentrarsi e la carica di rabbia piovuta sulla scintilla iniziale ha ormai trovato sfogo. Tutto si placa e torna – finalmente – nella sua dimensione originale. Ma con quali conseguenze?

In mezzo alle macerie

Quando si leggono notizie di questo tipo, spesso la sensazione è quella per cui sia facile trovare una colpa contro cui scagliarsi, ma sia ben più difficile trovare una ragione per la quale parteggiare. Il video su TikTok è infatti sicuramente una vergogna senza fine; la società sportiva è sicuramente tardiva nella risposta, poiché avrebbe probabilmente dovuto allontanare immediatamente un elemento che si professava tanto lontano dai valori promessi ai propri tesserati (nonché ai ragazzi ospitati per il centro estivo). Ma che vogliamo dire allora dei commentatori che hanno scambiato questo argomento per un raid punitivo che definire “fascista” nei metodi sarebbe sicuramente calzante? Perché non lasciare che la giustizia faccia il suo corso, invece di augurare le peggio cose al ragazzo e alla famiglia?

Commenti su Facebook

E che vogliamo dire ancora della società che minaccia denunce invece di spegnere l’incendio con un post che faccia ammenda del colpevole ritardo? Ma che vogliamo dire anche di chi ha deciso che la società sia colpevole delle malefatte del ragazzo, come se ogni altro ambito educativo della medesima comunità condivida le stesse responsabilità? E che vogliamo dire del comunicato finale con cui il ragazzo formalmente si scusa sottolineando come il video fosse finito online “a sua insaputa” (giusto per citare una frase ricorrente in questi casi)?

Ci si sente in posizione scomoda dentro queste vicende, per forza si preferisce archiviarle in fretta e lasciar spazio ad un benedetto silenzio. Il silenzio che non trasforma i leoni da tastiera in carnefici, il silenzio che aiuta la riflessione, il silenzio che consiglia di far tesoro di questo caso per capire come gestire il prossimo. In questo silenzio ogni società di calcio, dalla Serie A alla Terza Categoria, potranno riflettere sulle proprie responsabilità sociali ai tempi dei social ed ogni ragazzo dovrà mettere in discussione i propri valori con quelli di un sistema di comunicazione che sui valori può pesarti in pochi minuti ed un migliaia di post. Per sempre.

Quando le storie finiscono nel ventilatore, e quando le scintille cadono sulla benzina, non puoi prevederne le conseguenze. Spesso non puoi neppure controllarle. Ma ognuno di noi può evitare di farsi carnefice recuperando il valore del silenzio, se non altro come anticamera di un commento che giocoforza sarà più meditato, meno istintivo e fuori dalle dinamiche del raid punitivo.

Nel silenzio questa vicenda, il lento incedere del ventilatore ci porta al naso una forte puzza di cenere: è l’odore della terra bruciata attorno ad una piccola squadra di calcio ed i suoi molti volontari, un odore che va ben oltre le colpe del Monregale, ma che al tempo stesso la lascia inchiodata alle sue responsabilità etiche. L’odore è quello delle macerie lasciate dal raid punitivo, ove in troppi non hanno pesato le conseguenze delle parole e dove il processo si è consumato online, senza giudice e con una sommaria sentenza della giuria popolare. Colpe e colpevoli puniti, il plotone può ora dedicarsi ad altro, ignorando le conseguenze di quanto accaduto. Nel frattempo un pallone tornerà a rotolare, i volontari torneranno a pulire gli spogliatoi ed i bambini torneranno pian pianino a divertirsi. Ma non sarà facile in mezzo a tutte queste macerie. Verba volant, social manent.

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Pubblicato il
8 lug 2020
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