Le celle a combustibile portatili sono quasi pronte per la commercializzazione , le batterie al litio “più verdi” costano ma ci sono già, quelle al gusto di metallo fuso sono in fase di ricerca e quelle con la super-ricarica quasi le si può scorgere all’orizzonte. Che cosa manca all’appello? Manca una tecnologia di accumulazione energetica totalmente “verde”, composta da materiali il più possibile naturali e che magari contenga un tocco di bioingegneria nanoscopica applicata.
Ora quella tecnologia c’è , ed è stata presentata al mondo (attraverso la rivista Science ) da ricercatori facenti capo a quello stesso Massachusetts Institute of Technology da cui provengono già gli accumulatori liquidi e quelli con la super-ricarica di cui sopra. In questo caso gli esperti hanno sviluppato batterie alquanto innovative, basate su virus comuni geneticamente modificati per catalizzare i processi chimici assieme a particolari qualità di materiali.
Le notizie che arrivano ora dal MIT si basano sui risultati di una ricerca pregressa risalente a tre anni fa, nel corso della quale Angela Belcher e il suo team riuscirono a bioingegnerizzare un virus per far sì che esso desse “vita” a un catodo legandosi all’ossido di cobalto e all’oro, autoassemblandosi infine nella forma di un nanotubo. Il virus impiegato era un comune batteriofago, innocuo per gli esseri umani ma letale per gli organismi batterici.
La variabile mancante nell’equazione energetica era però il catodo da accoppiare con l’anodo virale, un elemento più complicato da costruire: avrebbe dovuto essere altamente conduttivo per essere un elettrodo efficiente. La nuova ricerca del MIT ci è però riuscita, realizzando il prototipo di una batteria in formato “moneta” rispettosa dell’ambiente quanto più è possibile.
L’accumulatore viene infatti costruito operando a temperatura ambiente, non include l’impiego di solventi organici pericolosi e contiene materiali atossici. Per ottenere questo autentico miracolo , i ricercatori hanno ancora una volta fatto ricorso alla bioingegneria e alle nanotecnologie, istruendo geneticamente il già citato batteriofago a coalizzarsi con il fosfato di ferro e poi a legarsi chimicamente con un nanotubo di carbonio , ottenendo come risultato finale un materiale ad alta conduttività elettrica.
L’impiego dei nanotubi di carbonio (attraverso cui il flusso di elettroni fluisce veloce ed efficiente) ha portato vantaggi senza precedenti come l’aggiunta della suddetta conduttività al netto di un aumento eccessivo di peso, e una capacità energetica che dura nel corso del tempo molto più che nelle tradizionali batterie li-ion, con i test di laboratorio che hanno escluso qualsiasi perdita di capacità dopo 100 cicli di carica e scarica.
Più efficienti, rispettose dell’ambiente, più leggere e facili da realizzare, le bio-batterie virali del MIT potrebbero invadere tutti i settori dell’elettronica di consumo e non solo, dalle unità UPS nei server dei data center al cellulare o al netbook. Per il momento le ricerche continuano, e gli esperti provano a ingegnerizzare materiali in grado di garantire voltaggi e capacità superiori. La next gen delle batterie virali sarà presto pronta per il mercato, promettono dal MIT.
Alfonso Maruccia