Yelp, la visibilità non è estorsione

Yelp, la visibilità non è estorsione

La piattaforma dedicata alle recensioni non opera illegalmente premiando con la visibilità delle recensioni più lusinghiere le attività commerciali che paghino per essere pubblicizzate
La piattaforma dedicata alle recensioni non opera illegalmente premiando con la visibilità delle recensioni più lusinghiere le attività commerciali che paghino per essere pubblicizzate

Yelp detiene il potere di mostrare e ordinare le recensioni delle attività pubbliche compilate dagli utenti, e può promettere ai gestori delle attività commerciali di lustrare la propria immagine pagando per rimodulare l’ordine delle recensioni, attribuendo maggiore visibilità alle recensioni positive: non si tratta però di estorsione, ma di un semplice modello di business.

A decidere della legittimità delle attività di Yelp sono i giudici d’appello californiani che hanno esaminato un caso sollevato da un manipolo di esercenti nel 2010: denunciavano la piattaforma di alterare a proprio piacimento la visibilità dei pareri degli utenti, e addirittura di formulare in proprio recensioni negative, allo scopo di indurre i gestori delle attività recensite ad aderire a programmi sponsorizzati (con cifre che variano fra i 300 e i 1200 dollari al mese) per ristabilire la propria credibilità in cambio di denaro.

Nessuna delle accuse è stata accolta dalla giustizia statunitense, comunica ora Yelp: i partecipanti alla class action non sono stati in grado di fornire prove delle manipolazioni delle recensioni da parte di Yelp e della creazione di recensioni negative ad hoc, e la teoria dell’estorsione non ha retto al vaglio del tribunale.

Yelp offre alle aziende recensite la possibilità di aderire a delle soluzioni di advertising che comportano la visibilità delle recensioni più positive, e di contro può scegliere di agire sull’ordine e sulle modalità con cui i pareri sono visualizzati: questi comportamenti, però non sono classificabili come estorsione. Le recensioni positive non sono un diritto , ma dipendono dalle valutazioni degli utenti di Yelp, e il timore di subire un danno economico dalla visibilità delle recensioni meno lusinghiere, connaturato alle dinamiche stesse della reputazione in Rete, non è sufficiente a far scadere nell’illegalità un meccanismo di contrattazione che usa metodi ruvidi per convincere all’acquisto di soluzioni di advertising. In caso contrario, l’accusa di estorsione finirebbe per colpire un’infinità di servizi che fino ad ora sono stati considerati perfettamente leciti.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
12 set 2014
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