Amazon e la cartella esattoriale da 130 milioni di euro

Amazon e la cartella esattoriale da 130 milioni di euro

La presunta evasione fiscale accertata dalla Guardia di Finanza è relativa a un giro di affari del colosso dell'e-commerce pari a 2,5 miliardi di euro in cinque anni. E la polemica sulla Webtax si riaccende
La presunta evasione fiscale accertata dalla Guardia di Finanza è relativa a un giro di affari del colosso dell'e-commerce pari a 2,5 miliardi di euro in cinque anni. E la polemica sulla Webtax si riaccende

Quella del primo trimestre del 2017 è una trimestrale da record per Amazon, che va ben oltre le aspettative registrando un utile netto di 724 milioni di dollari (+41 per cento rispetto alla stesso periodo del 2016) facendo schizzare così il titolo su un nuovo massimo alla borsa di Wall Street. Alle buone notizie seguono però le cattive. L’indagine coordinata dal pm Adriano Scudieri e dal procuratore capo Francesco Greco per omessa dichiarazione dei redditi nei confronti del colosso dell’e-commerce si è concretizzata , dopo circa un anno , in un accertamento da parte della Guardia di Finanza, che ha riscontrato una cifra pari a 130 milioni di euro di presunta evasione fiscale.

Nel mirino degli inquirenti c’è l’attività svolta della filiale lussemburghese, sede legale di Amazon fino al 2015, per la quale sussiste l’ipotesi di utilizzo di un sistema “fotocopia” analogo a quanto adottato da altri colossi hi-tech per contabilizzare i profitti realizzati in Italia in modo da aggirare il fisco. I 130 milioni di euro sarebbero invece stati calcolati dagli investigatori del nucleo polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano su un volume d’affari di 2,5 miliardi di euro relativo al quinquennio che va dal 2009 al 2014 .

Sulla notifica dell’accertamento la risposta di Amazon non tarda ad arrivare: “Amazon paga tutte le imposte che sono dovute in ogni Paese in cui opera. Le imposte sulle società sono basate sugli utili, non sui ricavi, e i nostri utili sono rimasti bassi a seguito degli ingenti investimenti e del fatto che il business retail è altamente competitivo e offre margini bassi. Abbiamo investito in Italia più di 800 milioni di euro dal 2010 e attualmente abbiamo una forza lavoro a tempo indeterminato di oltre 2.000 dipendenti”.

La questione riaccende inevitabilmente la polemica sul rapporto tra fisco e web company. Michele Emiliano, candidato segretario nazionale PD, ha così commentato l’accertamento nei confronti di Amazon: “Ancora una volta è toccato alla procura di Milano sopperire all’assenza del legislatore. Sulla webtax non si può più dire non avevamo capito. In Italia, dal 2013 si poteva far pagare almeno l’IVA a ogni multinazionale del Web, così come la pagano le imprese italiane o le stesse multinazionali tradizionali presenti in Italia con le loro sedi. Anzi, avremmo potuto abbassare le imposte sul lavoro ai lavoratori italiani grazie a quel gettito. La base imponibile erosa, stimata in questo momento, è superiore ai 30 miliardi e il gettito mancato va dai 4 ai 5 miliardi l’anno. È business che passa dai bilanci delle imprese italiane a quelli delle cosiddette Over the Top “.

Anche Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, interviene a sostegno di Michele Emiliano e in risposta al comunicato Amazon: “La seconda inchiesta in pochi anni dà il senso della gravità della condizione in cui versa il fisco nella relazione con le principali multinazionali del Web, a partire da Amazon, monopolista di fatto del commercio elettronico. La reazione di Amazon alla notizia dell’inchiesta in corso a Milano offende l’intelligenza di ogni contribuente italiano. Le imposte sulle società non sono basate solo sugli utili, come rileva in un comunicato la stessa Amazon, ribadendo i bassi utili conseguiti, ma esistono anche le imposte indirette sistematicamente eluse, oltre al meccanismo di trasferimento di costi da una controllata all’altra che riduce al minimo le restanti imposte dovute. Non è un caso che già in altre occasioni la stessa Amazon, Apple e altre Over the top, hanno accettato accordi fiscali pagando centinaia di milioni attraverso la cosiddetta giustizia negoziata. Non vogliamo un Paese in cui i grandi fanno la voce grossa con il fisco pagando meno e danneggiando indirettamente il mercato o pagando solo quando lo dice un’inchiesta della Gdf. Guardia di finanza, che ringraziamo quanto la procura di Milano per il complesso lavoro svolto, che sopperisce ad un buco che il Parlamento, a questo punto colpevolmente, continua a non colmare. Ad Amazon devono capire che nessuno in Italia ce l’ha con loro, o con le altre multinazionali, ma sono benvenute solo se pagano le tasse come tutte le imprese italiane, viceversa saranno trattate dallo Stato e dalla giustizia come degli elusori”.

Quello di Amazon non è un caso isolato. Le indagini sulle evasioni fiscali in Italia da parte dei colossi hi-tech hanno di recente riguardato anche Google ed Apple. Al primo, nel gennaio del 2016 è stata contestata un’evasione di 300 milioni di euro nel periodo dal 2009 al 2013. Il secondo, invece, ha patteggiato versando al Fisco 318 milioni di euro (a fronte di una cartella esattoriale di 879 milioni di euro) e commutando la richiesta di 6 mesi di reclusione per Michael O Sullivan, legale rappresentante di Apple Sales International, in 45mila euro di multa.

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Pubblicato il 2 mag 2017
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