Quello che sarebbe diventato di fatto un ban per Bitcoin ed Ether è stato scongiurato dal Parlamento dell’Unione Europea. Il ban degli algoritmi proof-of-work per le criptovalute è stato infatti bocciato nonostante le pressioni della vigilia.
Sicuramente una buona notizia per chi opera nel mercato delle criptovalute. La Commissione per gli affari economici e monetari del Parlamento Europeo ha bocciato la proposta nella giornata di ieri, ma adesso continuerà a portare avanti un quadro legislativo per la regolamentazione delle risorse digitali nel vecchio continente.
Cosa sono gli algoritmi proof-of-work delle criptovalute e perché è stato chiesto il ban
Alcune delle criptovalute più famose, come Bitcoin ed Ethereum, utilizzano il sistema proof-of-work da sempre nell’occhio del ciclone per l’enorme quantità di energia di cui hanno bisogno e per le emissioni di gas serra che generano di conseguenza. La rete Bitcoin, per fare un esempio, utilizza più elettricità in un anno rispetto l’intera Norvegia. Se fosse un paese, si classificherebbe al 27esimo posto nel mondo per consumo annuale.
Gran parte di questa elettricità viene utilizzata in un processo inefficiente dal punto di vista energetico chiamato proof-of-work. Per guadagnare nuovi token e verificare le transazioni, i minatori di Bitcoin si servono di computer speciali per risolvere dei complessi puzzle crittografici, la cui soluzione è sempre più difficile. È proprio la risoluzione degli enigmi a consumare tanta energia e di cui l’Unione Europea ha considerato il bando.
La questione è complessa. L’industria delle criptovalute sta cercando da anni una soluzione per risolvere il suo problema di impatto ambientale. Ethereum pianifica da tempo il passaggio al processo “proof-of-stake” che elimina di fatto la presenza dei puzzle crittografici utilizzando molta meno energia.
Anche Bitcoin sta valutando la cosa, ma c’è da tenere in considerazione che i miner della rete non ne sarebbero felici visto che dovrebbero accettare ingenti perdite dopo aver investito in hardware potenti per le loro operazioni pensati specificatamente per il “proof-of-work”. Senza contare chi sostiene che questo meccanismo sia il più sicuro per mantenere l’integrità della blockchain.
La Cina ospitava la stragrande maggioranza di minatori di criptovalute prima di imporre il divieto assoluto di questa pratica nel paese. Nonostante le aspettative, l’inquinamento dai Bitcoin non è diminuito come si sperava dato che chi operava in Cina ha rimediato servendosi di gas e carbone negli Stati Uniti e in Kazakistan.
In un periodo storico in cui il costo dell’energia cresce a dismisura, resta in ogni caso fondamentale per la Commissione Europea trovare una quadra. Non è da escludere che si torni a parlare del divieto del “proof-of-work” nei prossimi mesi, ma per il momento gli operatori del mercato delle criptovalute possono dormire sogni tranquilli.