Roma – La “privacy” è un diritto della persona o un ostacolo alla comunicazione? Recentemente lo staff del Garante della protezione dei dati personali ha presentato il questionario per i nuovi elenchi telefonici, questionario che metterà in linea anche questo potente mezzo di comunicazione e marketing con le attuali norme vigenti in materia di protezione dei dati sensibili.
In particolare, e qui cito l’ANSA: “I nomi che compaiono nei nuovi elenchi – ha spiegato il relatore Marco Paissan – si possono usare solo per motivi interpersonali e non per ricevere pubblicità. Ma se invece l’abbonato lo desidera, il suo nome sarà affiancato da due simboli: una piccola busta per la pubblicità postale e una cornetta telefonica per la pubblicità al telefono”.
In sostanza per l’azienda che vorrà utilizzare l’elenco telefonico come fonte di riferimenti per campagne d’informazione, marketing e, pubblicità sarà sufficiente guardare a fianco dell’utenza telefonica se il titolare acconsente di essere contattato per fini pubblicitari e, se sì, in quale modalità.
A corredo però della relazione, il segretario generale del Garante per la protezione dei dati personali Giovanni Buttarelli, ha spiegato ulteriormente che “chi non risponde, chiedendo di rimanere nella stessa posizione, non potrà essere utilizzato per l’invio d’informazioni pubblicitarie”. E le precedenti richieste agli utenti di consenso per il marketing non hanno più nessuna validità.
Se la prima delle due affermazioni sancisce di fatto un principio imprescindibile come quello del “consenso esplicito”, la seconda invece è a dir poco angosciante. Per un attimo mi sono messo nei panni del titolare della piccola azienda che con notevoli sforzi si è adeguato da poco alla normativa sulla protezione dei dati personali (che ricordiamo essere già penalizzante nei confronti delle aziende italiane rispetto a quelle estere) facendosi firmare e compilare da clienti “moduli” e “allegati informativi” in cui spiegando le finalità chiedeva a questi il consenso per il trattamento dei dati personali e che ora si troverà a dover rifare tutto dall’inizio procurandosi gli elenchi telefonici di tutte le province italiane per controllare, nominativo per nominativo, se i suoi clienti hanno rinnovato il consenso a ricevere pubblicità oppure no, o anche, se si sono dimenticati di inviare il cedolino a Telecom Italia, oppure ancora, seppur inviandolo, questo si sia perso nei meandri delle Poste.
Andando per il sottile poi, pare impossibile, a mio modesto avviso, che un consenso o un non-consenso “generale”, espresso cioè per tutte le tipologie di pubblicità e indipendentemente per tutte le tipologie di prodotti, possa avere – per il Garante – una maggior valenza rispetto un consenso prestato solo qualche mese prima e formulato in ottemperanza alla stessa legge ad un azienda specifica che produce ad esempio uno specifico tipo o gamma di prodotti o si occupa di una serie precisa di servizi.
A questo punto quella che era una legge giusta e condivisibile volta a tutelare un diritto sacrosanto del cittadino rischia di diventare un cappio alla gola per chi, seppur nel rispetto degli altrui diritti e delle norme vigenti, si occupa (sfortuna sua) di marketing e pubblicità e più in generale di commercio.
Enrico di Stefano