Chi ha ammazzato l'informativa sul web?

Chi ha ammazzato l'informativa sul web?

di Andrea Lisi (Scint.it) - Tra le sempre più numerose normative che riguardano internet e la realtà dei fatti c'è una distanza abissale. Servono davvero tutte queste leggi? E a chi?
di Andrea Lisi (Scint.it) - Tra le sempre più numerose normative che riguardano internet e la realtà dei fatti c'è una distanza abissale. Servono davvero tutte queste leggi? E a chi?


Roma – Ormai è una costante. Quando mi si chiede di valutare un sito web dal punto di vista giuridico il mio parere inizia sempre così:
“Il sito non rispetta le prescrizioni di cui al Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 recante “Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno” (G.U. 14.04.2003 S. O. n. 61)
In ottemperanza alle disposizioni di cui all’art. 7 del menzionato decreto legislativo n. 70/2003, il titolare del sito web deve rendere facilmente accessibili (in home page e nelle altre pagine del sito), in modo diretto e permanente, ai destinatari del servizio e alle Autorità competenti le seguenti informazioni:

– il nome, la denominazione o la ragione sociale;
– il domicilio o la sede legale;
– gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lo stesso, compreso l’indirizzo di posta elettronica;
– il numero di iscrizione al repertorio delle attività economiche, REA, o al registro delle imprese;
– gli elementi di individuazione nonché gli estremi della competente autorità di vigilanza qualora un’attività sia soggetta a concessione, licenza od autorizzazione;
– il numero della partita IVA o altro numero di identificazione considerato equivalente nello Stato membro, qualora il prestatore eserciti un’attività soggetta ad imposta (la P. IVA va sempre inserita in home page ai sensi dell’art. 35 comma 1 del DPR 26 ottobre 1972 n. 633);
– l’indicazione in modo chiaro ed inequivocabile dei prezzi e delle tariffe dei diversi servizi della società dell’informazione forniti, evidenziando se comprendono le imposte, i costi di consegna ed altri elementi aggiuntivi da specificare;
– l’indicazione delle attività consentite al consumatore e al destinatario del servizio e gli estremi del contratto qualora un’attività sia soggetta ad autorizzazione o l’oggetto della prestazione sia fornito sulla base di un contratto di licenza d’uso.

Per quanto riguarda le professioni regolamentate, vanno inoltre obbligatoriamente inserite sul proprio sito web le seguenti informazioni:
– l’ordine professionale o istituzione analoga, presso cui il prestatore sia iscritto e il numero di iscrizione;
– il titolo professionale e lo Stato membro in cui è stato rilasciato;
– il riferimento alle norme professionali e agli eventuali codici di condotta vigenti nello Stato membro di stabilimento e le modalità di consultazione dei medesimi.

Tali informazioni, peraltro, devono essere costantemente aggiornate”.

Mi viene naturale domandarmi se queste prescrizioni – come tante altre rimaste “lettera morta” contenute nelle varie normative italiane, le quali si accavallano a regolamentare ogni minimo dettaglio di un Web che esiste solo nella testa del nostro legislatore – abbiano un senso, visto che nessuno le rispetta!

Eppure il fatto di “farsi riconoscere”, di dire chi siamo ai nostri potenziali clienti, dovrebbe essere cosa ovvia e automatica e finalizzata a rendere operativo uno degli scopi principali contenuti nella direttiva 2000/31/CE e, cioè, quello di sviluppare maggiore fiducia nei consumatori/utenti dei nostri servizi telematici (preambolo n. 7 della direttiva).

Addirittura questi principi non farebbero altro che concretizzare, anche per la comunicazione sul web, le “vecchie, care” regole del codice civile italiano: infatti, già secondo l’art. 2250 c.c., “negli atti e nella corrispondenza delle società soggette all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese devono essere indicati la sede della società e l’ufficio del registro delle imprese presso il quale questa è iscritta e il numero d’iscrizione. Il capitale delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata deve essere negli atti e nella corrispondenza indicato secondo la somma effettivamente versata e quale risulta esistente dall’ultimo bilancio. Dopo lo scioglimento delle società previste dal primo comma deve essere espressamente indicato negli atti e nella corrispondenza che la società è in liquidazione. Negli atti e nella corrispondenza delle società per azioni ed a responsabilità limitata deve essere indicato se queste hanno un unico socio”.

Applicare questa semplice norma – che mettiamo in pratica regolarmente in tutta la nostra corrispondenza cartacea – al mondo di internet avrebbe dovuto essere automatico e inevitabile, ma basta farsi un giro spensierato tra i portali istituzionali, tra i siti web di commercio elettronico, di riviste, di note società, per rendersi conto che ancora il web venga percepito tendenzialmente come una sorta di terra di nessuno , un cyberspazio confinato in un limbo di “quasi-realtà”, una casa delle libertà dove ancora tutto è possibile!

E allora si notano frequentemente siti web dove la sede dell’impresa non è indicata (ma è sufficiente un numero verde o una semplice e-mail per esistere virtualmente!); siti web dove della P. IVA non c’è traccia nell’home page (come espressamente indicato anche nell’art. 35 del cd. “Decreto IVA”, D.P.R. 26-10-1972, n. 633, come recentemente modificato); siti web di ASL, studi legali, note testate giornalistiche dove non c’è alcun riferimento all’Ordine professionale di appartenenza e ai codici deontologici sottoscritti! Per non parlare di altre indicazioni e informative obbligatorie da inserire per la tutela della “privacy” del visitatore, o per il copyright, o relative ai prodotti venduti attraverso il proprio sito web: trovare un sito che, non dico abbia una adeguata informativa, ma che almeno abbia indicato correttamente la nuova normativa sul trattamento dei dati personali (D.lgs. 196/2003 e non più L. 675/1996!) già è opera difficile! Provare per credere!

Eppure il legislatore si ostina a regolamentare la Società dell’Informazione con norme sempre più tecniche su firma digitale, archiviazione sostitutiva, accessibilità dei siti web (e si leggono in giro anche situazioni paradossali riguardanti la nota Legge Stanca), Carta Nazionale dei Servizi e Carta di Identità Elettronica, Posta Elettronica Certificata in una forsennata corsa ad accreditare sempre più e meglio i soliti, noti “certificatori”!
Ti certifico il sito, accessibile, bello…passa da qui e paga!

Sembra una corsa contro il tempo a garantire business a qualcuno senza voler aprire gli occhi, senza considerare la terra bruciata che c’è intorno!
Perché prima di investire tempo e denaro su “certificati e certificatori” di ogni possibile sfaccettatura del “meraviglioso mondo virtuale” il legislatore non si ricorda di “alfabetizzare” i suoi cittadini e soprattutto i vari fornitori di servizi della Società dell’Informazione?

Perché il legislatore non cerca di invertire la tendenza a considerare il web qualcosa di separato dal mondo reale, se vuole veramente sviluppare questo nuovo mercato (visto che non c’è mercato se non c’è fiducia in quel mercato)?

Perché il legislatore, invece di continuare a investire soldi e competenze in sterili proclami su improbabili risparmi che il digitale permetterebbe nello storico passaggio dal cartaceo al bit, non investe seriamente su politiche di alfabetizzazione diffusa sull’utilizzo degli strumenti telematici, a partire da quelli più semplici, come l’e-mail?!

Basta farsi una passeggiata negli uffici di tanti enti pubblici per capire come siamo lontani dagli avveniristici sogni prospettatici nelle conferenze stampa successive alla pubblicazione del Decreto Legislativo n. 82 del 7 marzo 2005 (troppo velocemente battezzato Codice della Pubblica Amministrazione Digitale).

La verità è che non si può forzare la realtà con una norma di legge, ma si può solo sperare di plasmare il futuro digitale con lenti processi che aiutino tutti (non solo qualche tecnico informatico) a percepire i tanti cambiamenti che ci attendono.

Si spera che il legislatore ci aiuti con poche, chiare norme ad impossessarci di nuove lenti che reinterpretino la realtà che ci circonda e si spera anche che non voglia cucirci addosso un’armatura di cristallo che nessuno intende indossare per navigare sul web!

Avv. Andrea Lisi
( www.scint.it , direttore della Rivista di Diritto Economia e Gestione delle Nuove Tecnologie, Nyberg Editore, Milano)

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Pubblicato il 25 lug 2005
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