Contrappunti/ Italia terra di hacker?

Contrappunti/ Italia terra di hacker?

di Massimo Mantellini. A sentire com'è stata trattata la vicenda degli Hi Tech Hate da parte di tutti - stampa, televisione e forze dell'ordine - si direbbe che qui da noi c'è un grande bisogno di qualche vero criminale informatico
di Massimo Mantellini. A sentire com'è stata trattata la vicenda degli Hi Tech Hate da parte di tutti - stampa, televisione e forze dell'ordine - si direbbe che qui da noi c'è un grande bisogno di qualche vero criminale informatico


Roma – di M. Mantellini – La prima reazione che provo alla notizia che 6 ragazzini italiani (dai 15 ai 23 anni di età), accusati del defacement di una miriade di siti web in una sessantina di paesi, sono stati identificati e incriminati dal Gruppo Anticrimine Tecnologico (GAT) della Guardia di Finanza è una sensazione di leggero fastidio.

Possibile che non ci sia maniera di occuparsi di cose più serie? I sei giovani “criminali” rischiano fino a tre anni di carcere per essere penetrati, senza aver causato alcun danno, dentro virtualissimi siti web: secondo i più pessimisti fra i commentatori, rischierebbero perfino l’estradizione in USA in violazione al Terrorism Act varato dopo le stragi dell’11 settembre.

Non vorrei discutere di cosa prevede la legge in materia di effrazioni di siti web né commentare le discussioni di cui si legge in rete in questi giorni, sulla responsabilità di chi mette online siti web senza preoccuparsi delle sue difese informatiche. E non vorrei nemmeno chiedermi troppo come mai un gruppetto di minorenni digitali passi il tempo a scrivere luoghi comuni e slogan, corredati di dedica alla fidanzata, dentro le frontpage dei siti web RAI, Mediaset, Nasa, etc.

Di due cose mi piacerebbe invece ragionare.
La prima: la quantificazione del danno; la seconda, l’uso strumentale che di una piccola e insignificante notizia di cronaca hanno fatto le autorità e i media.

1. Ma che danno è?

Una simpatica signora qualche giorno fa sulla mailing list dei democratici di sinistra si chiedeva attonita: “Ma chi sono questi “haker”? Perchè rischiano tre anni di carcere? Come posso spiegare questa cosa a mio figlio 15enne?”
Tento una spiegazione di parte: gli hacker in questa faccenda non c’entrano proprio. La cultura hacker intesa come spirito di ricerca e spinta alla conoscenza (in generale, non necessariamente applicata all’informatica) ormai da tempo percorre altre strade, assai lontane dalle gesta di cracker come gli Hi Tech Hate. Che quasi sempre sono gruppi in possesso di modeste cognizioni tecniche, alla portata di chiunque abbia tempo e voglia di navigare dentro la rete, leggere due righe di FAQ in inglese e dotarsi di software di port scanning o robette simili.

Non sarà certo l’uso di un inglese improbabile e folkloristico a trasformare alcuni giovani entusiasti di Internet, come ce ne sono tanti in tutto il mondo, in novelli Kevin Mitnick, così come non saranno una bordata di luoghi comuni anti-G8 appiccicati sulla frontpage del sito web dell’Ansa o di Mediaset o di Claudio Baglioni a dare ad iniziative del genere spessore politico o una qualsiasi autorevolezza.
Si tratta insomma di cretinate senza speranza, giustificate in parte dalla giovane età dei “criminali” ma, in ogni caso, quasi del tutto prive di effetti dannosi reali, che non siano per lo meno equiparabili alla sciatteria di chi mette online pagine web spesso senza alcuna protezione. Atti ben differenti – come ha scritto Arturo di Corinto sul Manifesto – dagli attacchi DDOS contro Amazon e Ebay di qualche tempo fa, quelli sì, reati con una evidente interruzione di servizio e conseguenti cospicui danni economici oltre che di immagine per i soggetti colpiti.

Altri cracker quelli? Forse no, poichè anche per organizzare cose del genere oggi sono necessarie conoscenze informatiche poco più che di base, in ogni caso di un livello nemmeno paragonabile a quello delle bravate degli Hi Tech Hate, talmente ingenui da concedere interviste ai quotidiani o da lasciare in fondo ai loro messaggi perfino un indirizzo email al quale scrivere, accompagnato dall’avvertenza “Solo le mail dei fans sono benvenute” .

2. Il solito can can mediatico.

Il 43enne Colonnello Umberto Rapetto comandante del Gruppo Anticrimine Tecnologico della Guardia di Finanza può essere a buon diritto considerato lo Sgarbi dell’informatica italiana. Tali e tante sono le sue partecipazioni a convegni, manifestazioni e simposi, trasmissioni radiofoniche e televisive che anche una semplice ricerca su Google porta allo sfinimento chiunque tenti pazientemente di contarle, anche solo limitandosi all’ultimo anno.
Così frequenti le sue esternazioni tecnologiche sui media più disparati (Rapetto è, tra le altre cose, titolare di una rubrica quotidiana su Radio Capital nel cui sito web viene definito “sceriffo” e fotografato in occhiali scuri e maglietta militare a cavallo di una moto di grossa cilindrata), talmente florida la sua produzione editoriale (ultimo libro dei 40 (!) pubblicati: “Le nuove guerre, dalla cyberwar ai black bloc, dal sabotaggio mediatico a Bin Laden” scritto insieme a Roberto di Nunzio per i tipi di Rizzoli), le sue docenze universitarie e i suoi talenti (paracadutista, istruttore di tiro rapido e altre quisquilie) che sembrerebbe lecito domandarsi di quante ore sia composta la sua giornata.

Il nostro colonnello, in ogni caso, presenziando alla conferenza stampa sulla cattura dei 6 giovani cracker ha avuto parole concilianti nei loro confronti: “Ci hanno accolti con stupore e sportivamente hanno ammesso che siamo stati più bravi di loro. Mi auguro che questa possa essere per loro, ma anche per eventuali emuli, una lezione.”
Non si tratta purtroppo di un gioco, tutt’altro, e la sportività non sembra entrarci troppo. Semmai eventi del genere, gestiti in maniera così fortemente mediatica dalla Guardia di Finanza e poi altrettanto fragorosamente rimbalzati su telegiornali come il Tg5, possono aiutarci a comprendere quanto sia ancora povera e raffazzonata l’informazione sulla rete Internet nel nostro paese. Le agenzie e i TG diventano così neutri amplificatori di notizie diffuse da altri, abdicando ad ogni valutazione critica ed a ogni esigenza di approfondimento. La voglia di sensazionalismo prevale su tutto e poco importa se il mostro in prima pagina ha le fattezze di uno studente 15enne innamorato della sua Simona.

Ci faranno davvero del male questi “haker” si chiedono le casalinghe informatiche di tutta la penisola di fronte alla faccia seria di Enrico Mentana? E quali figure simboliche contrapporre allo strapotere dei geni del computer che controllano Internet? Chi ci potrà salvare da virus malevoli, furti di numeri di carta di credito, riciclaggi di denaro sporco, pedofili internazionali e Bin Laden vari, steganografati dentro una foto di Natalia Estrada? Chi prenderà le nostre difese in un universo digitale per moltissimi ancora difficile da comprendere? Eroi buoni e iperattivi come il Colonnello Rapetto? Preti d’assalto alla Don Fortunato? Giornalisti in caccia di grandi scoop sulla rete Internet?

Perché invece non percorrere la strada di una valutazione seria dei fatti da parte di tutti, del trionfo di un buonsenso minimo, di cui sembra essersi persa ogni traccia, che consenta a chiunque e non solo agli addetti ai lavori, di distinguere gli schiamazzi in rete di quattro giovanotti dalla criminalità informatica vera e propria? Che se non ci fosse (e in Italia probabilmente ne esiste pochina) bisognerebbe inventarla: diversamente il Colonnello Rapetto, nel giro del prossimo biennio, rischia di inondarci con un’altra quarantina di saggi, volumi e volumetti dei suoi.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
21 gen 2002
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