Roma – Immagino che un paese come il nostro, che occupa molte pagine sui giornali per discutere del numero di microbi che abitano le tastiere dei nostri computer, voglia considerarsi un paese moderno. Deve essere così, almeno in parte, visto che il nostro governo si appresta a fornire aiuti telematici ai paesi africani e visto che l’Italia mantiene un ruolo guida nel mercato della telefonia mobile. Eppure, sui medesimi giornali negli stessi giorni della formidabile dissertazione sulla carica batterica dei PC si parlava anche della mancata erogazione dell’acqua in alcune regione del paese, dove i rubinetti delle case sono ormai “accessibili” una volta ogni due o tre giorni. Verrebbe da chiedersi, se l’adsl – come dice qualche nostro politico particolarmente tecnologico – è parte del servizio universale, l’acqua invece, cos’è?
L’ISTAT ha recentemente pubblicato il suo rapporto annuale , un lavoro come al solito pieno di notizie e numeri sullo sviluppo del paese, accurato e interessante. L’intero capitolo 4, quello che si intitola “Comportamenti di consumo, cultura e partecipazione sociale “, ci interessa da vicino poichè tratta nello specifico della nostra modernità e del nostro rapporto con le tecnologie.
Puntualmente i mezzi di informazione hanno sintetizzato i dati salienti della ricerca per dipingere il medesimo quadretto bucolico che siamo abituati a sentire ogni anno: il senso del discorso, di decine di articoli pubblicati da quotidiani e settimanali, è che l’Italia sta cambiando, sta diventando più moderna, e procede a grande velocità e con convinzione verso quello sviluppo tecnologico che caratterizza gli altri paesi europei. La solita metafora insomma della rincorsa che in tempi brevi porterà all’ agognato riaggancio. Per esempio, come scrive Il Nuovo , citando alcuni dati molto spettacolari ma assai poco leggibili fra quelli prodotti nel rapporto, il 19% degli abitanti della penisola con più di 11 anni naviga in rete e il 30% degli italiani di più di 6 anni si destreggia con un mouse.
Più o meno le medesime cifre e le stesse statistiche leggermente criptche hanno riempito le pagine di tutti i giornali mentre quasi nessuno ha dedicato più di una riga ( e in molti casi non se ne è proprio parlato) al primo vero segno di innovazione tecnologica che l’Italia descritta dall’Istat ha mostrato da molti anni a questa parte. Si tratta di una bellissima notizia che è passata quasi sotto silenzio e che merita di essere spiegata estesamente.
Nell’ultimo quadriennio, la capacità di acquisto delle famiglie italiane con meno possibilità economiche, quelle che l’Istat definisce famiglie disagiate è aumentata molto meno di quella delle famiglie benestanti. I primi hanno avuto molti meno soldi quindi anche per i consumi culturali, per acquistare libri, quotidiani, per andare al cinema o collegarsi a Internet. Anzi, in questa tipologia di spesa, i consumi delle famiglie disagiate sono andati riducendosi rispetto al periodo precedente. In altre parole la diseguaglianza sociale è andata costantemente aumentando. In certe zone del centro Italia la capacità di spesa delle famiglie disagiate si è addirittura ridotta in senso assoluto rispetto al periodo precedente.
In questo quadro drammatico però è accaduta una cosa strana: le famiglie con meno soldi da spendere hanno speso di più per acquistare personal computer casalinghi. In pratica, come ci dice L’Istat, il PC è passato nella considerazione degli abitanti della penisola da bene superfluo a bene necessario. E non è una cosa da poco.
Ho amici siciliani che quando parlano delle grandi metropoli del pianeta per sincera ingenuità o autentico sprezzo del ridicolo sono soliti citare Londra, New York, Parigi, Tokio e…….Palermo. Sono costoro la dimostrazione vivente di come spesso da noi essere moderni sia prima di tutto una categoria estetica, una idea predefinita, talvolta con poca attinenza con la realtà. Un desiderio o una ossessione forse, che sopravvive anche ad eventi di segno del tutto opposto come la cronica mancanza di acqua dai rubinetti di vaste zone del paese.
Che le famiglie italiane inizino a comprendere, come scritto nel Rapporto 2001 dell’Istat, che investire i propri pochi soldi nell’acquisto di un PC per la casa e per i figli sia meglio che investirli nell’ultimo cellulare tecnologico da indossare alla cintura è un segno reale e commovente di novità, pur in una situazione italiana ancora problematica dove il digital divide geografico (nord-sud) e sociale (ricchi-poveri) è ancora un problema tutto da affrontare. Un segno – in ogni caso – vero e chiarissimo, quello del PC inteso come bene necessario, oltre che di intelligenza, di autentica modernità. Quella stessa modernità che, se frequentata, prima o poi porterà finalmente l’acqua dentro i tubi di tutte le nostre case.