Contrappunti.it/Dotcommers all'italiana

Contrappunti.it/Dotcommers all'italiana

di M. Mantellini. Nuovi imprenditori non ci sono: ovunque ci si si imbatte in giovani De Benedetti, Moratti, Caltagirone, Berlusconi etc. Quasi che new economy da noi significasse soltanto uno scarto generazionale
di M. Mantellini. Nuovi imprenditori non ci sono: ovunque ci si si imbatte in giovani De Benedetti, Moratti, Caltagirone, Berlusconi etc. Quasi che new economy da noi significasse soltanto uno scarto generazionale


Web – Grandi fortune venute in un attimo. Tante volte in un attimo dissolte. Quello che sta accadendo nel mondo della cosiddetta new economy è un mistero per tutti. Economisti, guru, astologi e venditori di fumo hanno quasi rinunciato a fare previsioni tanto è di difficile decodifica non solo quanto accadrà fra un anno ma anche solo il mese prossimo. E, nonostante tutto, in una America tanto attaccata alle semplificazioni ecco che con qualche ritardo i dot-commers sono diventati nell’immaginario collettivo gli yuppies del nuovo millennio. Una espressione che può essere a turno caricata di spregio o di invidia ma che ha definitivamente acquisito un valore negativo e di dileggio. “Ma chi sono quelli là? Ah… chi? quelli? No, niente… Dot-commers.”

Mentre alcuni libri appena usciti in USA mettono in risalto la matrice libertaria e geek dei nuovi ricchi che non perdono occasione per mostrare la propria impazienza verso uno Stato che con le sue esigenze di controllo ne limiterebbe le possibilità imprendiotriali (quasi che la struttura-stato, anche quella leggera e scarsamente burocratizzata degli stati americani, non avesse in tempi di nuova economia più alcuna ragione di esistere) è facile accorgersi che da noi la situazione è parecchio differente.

Una nuova classe imprenditoriale equivalente sembra non esistere: ovunque ci si giri ci si imbatte in giovani a capo di grandi aziende della new economy dai nomi pesanti (De Benedetti, Moratti, Caltagirone, Berlusconi etc.) quasi che new economy in Italia significasse semplicemente uno scarto generazionale fra padri e figli. Questi ultimi, tutti comprensibilmente assai gelosi della propria autonomia, carriera e – ci mancherebbe – professionalità . Ove non si verifichi questo passaggio del testimone familiare le aziende nuove, luccicanti di contenuti per Internet, cablature di grandi città, idee che cambieranno il mondo, mostrano spessissimo in trasparenza salde partecipazioni azionarie dei vecchi padroni della economia italiana ansiosi di vendere i muri (per dirla con Rifkin) e convertirli in idee e servizi. E perfino qui il panorama è completo: da Agnelli a Romiti, dai principali gruppi editoriali alle grandi banche.

Non mi stupirei di vedere seriosi manager di grandi banche d’affari smettere le Church e presentarsi in ufficio con lo skateboard sotto il braccio, se questo servisse allo svecchiamento della loro società. Eppure, nemmeno questo basterebbe a cambiare le carte in tavola. Gli affari della new economy si continuano a fare in Italia passando per le segreterie dei Ministeri, più che per le forche caudine del Nuovo Mercato come gli ultimi complicati rimescolamenti fra Seat, Tin.it e TMC hanno così chiaramente dimostrato.

E ‘ questa una delle ragioni, forse la più importante, per cui da noi la battaglia politica è tanto feroce: troppo alta la posta in gioco per il vincitore chiamato a controllare tutto e tutti. Un bengodi inimmaginabile la possibilità di concedere o negare qualsiasi cosa alla faccia delle normative vigenti che “quando sono superate”, come ha ben sintetizzato il Ministro delle Comunicazioni Cardinale riferendosi al passaggio da concessione a licenza per Telecom Italia, “non vanno rispettate”.

L’unica vera eccezione nel nostro paese, se non altro sul piano estetico, sembra essere Renato Soru, forse il solo a potersi a ragione definire dotcommer, per la rapida ascesa della sua Tiscali (pur spalleggiata da vecchi marpioni della finanza nazionale) per la freschezza e la rapidità di concretizzazione di alcune idee originali, per il respiro da subito internazionale dato alla sua attività.

Non che questa sua originalità Soru l’abbia sottintesa, tutt’altro. E ‘ andato per mesi dichiarandola ai quattro venti mentre in tanti si affrettavano ad aggiungere un “punto.com” alla denominazione delle loro società. Quando tutti si dichiaravano dot-commers. Poi la grande stagione dei rialzi dei titoli tecnologici è terminata e il problema di gridare la propria diversità non si è più posto, anzi.

In questi mesi abbiamo visto Soru sul podio del congresso del PDS ed in innumerevoli altri consessi, lo abbiamo sentito sbeffeggiato da Beppe Grillo nei suoi spettacoli nei palasport, ora ne registriamo la partecipazione al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, uno strano posto dove Giulio Andreotti viene solitamente accolto come una rockstar. Nella evidentemente necessaria tavola rotonda sulla new economy, ecco il giovane imprenditore sardo lanciarsi in una serie di affermazioni, puntualmente riprese dalle agenzie, sulla capacità della new economy di creare ricchezza buona che può essere ottenuta facilmente e paritariamente. Ecco Internet definito da Soru uno strumento cristiano, ecco la rete capace di spazzare via i concetti di nord e sud, di destra e sinistra.

Ci viene un dubbio. E se la nuova economia in Italia non passasse solo attraverso le sale d’attesa dei Ministeri e dai sancta sanctorum della finanza milanese ma anche anche attraverso una formidabile ricerca di consenso popolare, in ogni contesto e latitudine?

Resterebbe solo da controllare se quella volta davanti a Massimo D’Alema, l’inventore di Tiscali abbia definito Internet “uno strumento proletario”. Se così fosse stato non ce ne meraviglieremmo più di tanto.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
28 ago 2000
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