Il Consiglio di Stato sta chiudendo la porta alle azioni che hanno cercato di mettere in discussioni la legittimità dell’equo compenso per copia privata .
Il caso è quello sollevato nel 2010 davanti al Tribunale amministrativo del Lazio dal ricorso di Samsung, Telecom Italia, Fastweb, Sony Ericsson, Dell, Nokia Italia, Apple Sales, HP ed una decina di associazioni di utenti e consumatori contro il decreto del Mibac del 30 dicembre 2009, conosciuto anche come Decreto Bondi, che estendeva ad apparecchi polifunzionali come gli smartphone il contributo per copia privata, l'”equo compenso” richiesto in alcuni paesi agli utenti per qualsiasi altro supporto per la memorizzazione teoricamente utilizzabile per la registrazione o riproduzione di qualsiasi contenuto coperto da diritto d’autore.
Le aziende e i consumatori, il cui fronte si è in seguito parzialmente spaccato per divergenti pareri riguardo ai soggetti su cui dovrebbe pesare l’equo compenso, ne chiedevano la dichiarazione di illegittimità in particolare in quanto l’applicazione del prelievo per equo compenso è estesa ad apparecchi e supporti non principalmente destinati alle funzioni di riproduzione e conservazione di copie di opere di fonogrammi e audiogrammi.
La loro azione sembrava peraltro supportata dalla successiva sentenza con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva chiarito come l’equo compenso per copia privata dovesse necessariamente essere ancorato all’effettivo utilizzo (anche se solo su base presuntiva) del supporto per tale scopo e la decisione simile assunta da Consiglio di Stato francese, che escludeva dal prelievo i supporti destinati alle aziende. Tuttavia il TAR aveva respinto tutti i ricorsi, superando di fatto la ragione puntuale e limitandosi a definire l’equo compenso non il corrispettivo dell’utilizzo dell’altrui opere dell’impegno, ma una tassa. Una definizione che sembrava togliere – almeno – il velo di ambiguità che sfumava la questione.
Il TAR indicava inoltre come la logica dell’equo compenso fosse legata a doppio filo alla crisi del settore che “ha indotto il Legislatore sia comunitario che nazionale ad adottare le misure necessarie per poter garantire la remunerazione dei titolari delle opere dell’ingegno”. In pratica il decreto Bondi era stato considerato rispettoso della normativa nazionale e comunitaria. Da lì, in ogni caso, la battaglia legale non si era chiusa ed aveva avuto un’escalation fino al Consiglio di Stato: ma proprio questo sembra ora chiudere definitivamente la questione.
Quella emessa ora dal Consiglio di Stato è una lunga sentenza (ancorché parziale e non definitiva), che di fatto conferma la posizione del TAR, rigetta nel merito tutti i motivi di ricorso degli appellanti e fa chiaramente intendere il pensiero e l’orientamento dei giudici a riguardo.
In particolare i giudici sottolineano che anche la normativa europea sostiene la possibilità che “in taluni casi” i titolari di diritti debbano “ricevere un equo compenso affinché siano adeguatamente indennizzati per l’uso delle loro opere o dei materiali protetti” e ribadisce che agli Stati membri spetta un “ampio potere discrezionale” e “margini di manovra estesi per quanto attiene alla determinazione dell’entità dell’equo compenso”.
Soddisfazione è stata naturalmente espressa da SIAE, per cui il Consiglio di Stato ha anche escluso l’abuso di posizione dominante: “La sentenza è senza ombre e chiude la porta, speriamo definitivamente, a ogni strumentalizzazione contraria al diritto degli autori e editori italiani di vedere remunerate le loro opere”, ha dichiarato il presidente della SIAE Gino Paoli.
Piena soddisfazione sulla nuova decisione è stata espressa anche da Enzo Mazza, CEO di FIMI (Federazione dell’industria musicale di Confindustria): essa “conferma l’impianto italiano e respinge le pretese di annullare il D.M. del 30 dicembre 2009”. Resta da chiarire, spiega Mazza, solo la questione dei dispositivi destinati all’uso professionale, su cui farà luce la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Confindustria Cultura Italia ricorda invece come “La remissione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per uno specifico e limitato aspetto, relativo alla compatibilità del nostro impianto normativo (primario e secondario) per l’esenzione ex ante del prelievo per gli usi esclusivamente professionali, tramite protocolli applicativi, non sposta di una virgola il giudizio complessivo sul sistema di prelievo italiano e cioè di conformità, proporzionalità e ragionevolezza del quadro vigente, aggiornato, come noto, nel 2014 dal Ministro Dario Franceschini”. La sentenza del Consiglio di Stato, infatti, si confronta con il regime della copia privata che precede l’ adeguamento introdotto dal decreto 20 giugno 2014.
In Europa, dunque, si aprirà un nuovo fronte del dibattito che vedrà coinvolto pure il Regno Unito, recentemente entrato a far parte dei paesi che operano il prelievo: lo scorso 27 gennaio 2015 la High Court Inglese ha accolto la richiesta di BASCA ( British Academy of Songwriters, Composers and Authors ), di una revisione giuridica della neonata normativa sulla eccezione per copia privata anche in forza dell’art. 5, n.2 (b) della direttiva 2001/29/CE, che prevede la facoltà per gli Stati Membri di introdurre deroghe alla esclusività del diritto di riproduzione alla corresponsione di una equo compenso a favore dei titolari dei diritti.
Claudio Tamburrino