La crisi energetica cinese è anche un nostro problema: ecco perché

La crisi energetica cinese è anche un nostro problema

La crisi energetica cinese è anche un nostro problema perché impatta su filiere produttive che sono proprie anche nostre, tecnologia in primis.
La crisi energetica cinese è anche un nostro problema
La crisi energetica cinese è anche un nostro problema perché impatta su filiere produttive che sono proprie anche nostre, tecnologia in primis.

La crisi energetica che potrebbe coinvolgere la Cina è anche – e pesantemente – un nostro problema. Banalmente si potrebbe spiegare la cosa sul fatto che in epoca di globalizzazione basta una farfalla da un lato del mondo per scatenare uragani dall’altra parte, ma le cose sembrano essere ben più pragmatiche ed evidenti di così. Ecco perché i mercati globali hanno iniziato una fase di contrazione e perché a pagarne pegno in queste ore sono soprattutto i listini tecnologici.

La Cina è anche un problema nostro

Il problema cinese sta in una commistione di concause che ha portato a decisioni drastiche in molte provincie: mancanza di materie prime, contrazione dei limiti di emissioni di anidride carbonica e altri fattori giocano a sfavore della produzione. Addirittura, le autorità centrali hanno imposto un razionamento dell’energia che ha portato alla chiusura di alcuni stabilimenti fondamentali per la filiera della produzione tecnologica e qui scatta il corto circuito occidentale: laddove a fermarsi è l’industria produttiva cinese, a rallentare è la distribuzione di beni sui nostri mercati. Possiamo pensare alle console come ai televisori, agli smartphone come ai tablet: l’intero mercato dei prodotti di consumi rischia un innalzamento dei costi e nuovi ritardi nelle consegne, riducendo quelle ambizioni di rimbalzo che dopo la pandemia tutto il mondo insegue. Un esempio concreto: gli iPhone 13 appena immessi sul mercato potrebbero presto imbattere in questi colli di bottiglia e gli avvisi da oriente sono già arrivati anzitempo a Cupertino.

I diktat contro le criptovalute (con relativi ribassi nelle quotazioni) sanciti in Cina nei giorni scorsi corrono sui medesimi binari: un sistema eccessivamente energivoro va spento prima che possa sottrarre risorse essenziali per il Paese. E così è stato: prima si è fermato il mining, quindi si sono vietate del tutto le operazioni legate a Bitcoin e affini. La stagione fredda sta per arrivare, la produzione tocca normalmente i massimi in questo periodo e se non bastasse ci pensa il crollo di Evergrande a rendere ancor più gelida l’atmosfera cinese in queste ore. Ai mercati certe miscele esplosive non piacciono per nulla: i ricordi della Lehman Brother bruciano ancora su troppe ferite.

Le prospettive

Il prezzo del gas intanto continua a crescere, quello del petrolio è tornato ai livelli del 2018 (dopo essere piombato ai minimi di sempre durante la pandemia) e le prospettive sono di ulteriore crescita potenziale: per il prezzo dell’energia elettrica il percorso è segnato e il caro-bollette italiano è collegato ai medesimi tubi. Da più parti si intravede un rischio raro ed esplosivo: quello della stagflazione (recessione e inflazione al tempo stesso, un mix estremamente pericoloso e di difficile lettura da parte delle banche centrali). Ecco perché la crisi energetica cinese non è assolutamente lontana, anzi: si ripercuote inevitabilmente anche sull’intero mondo occidentale, sui nostri consumi dei mesi a venire e sugli equilibri economici internazionali che ridisegneranno il mondo post-Covid 19.

Quando ordineremo il nostro prossimo smartphone e noteremo che le riserve sono più scarse del solito, sapremo il perché. E sapremo anche che eventuali ritardi di disponibilità saranno solo la più leggera ed ininfluente delle conseguenze possibili.

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Pubblicato il 28 set 2021
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