Filtri australiani, completati i primi test

Filtri australiani, completati i primi test

Prove tecniche di filtraggio di stato. Poche adesioni degli utenti, soddisfazione dei provider
Prove tecniche di filtraggio di stato. Poche adesioni degli utenti, soddisfazione dei provider

Nonostante le polemiche, i dubbi di legittimità o anche sulla loro effettiva utilità pratica, i filtri di stato australiani pensati per mondare la Internet dei canguri da pedoporno e contenuti illegali procedono verso la strade dell’implementazione. I primi, fondamentali test sul campo della tecnologia avrebbero avuto risultati positivi, dicono alcuni degli ISP coinvolti , smitizzando il presunto impatto negativo sulle prestazioni della connessione ma lasciando irrisolte importanti questioni sul contenuto e l’efficacia dei filtri.

Secondo quanto comunicato da cinque dei nove provider coinvolti nelle sperimentazioni del sistema governativo (iPrimus, Netforce, Nelson Bay Online, WebShield, e OMNIconnect), al contrario di quanto evidenziato in precedenza non sussiste alcun pesante degrado della velocità di connessione, né sono stati registrati i tanto temuti blocchi dell’accesso a contenuti legittimi da parte degli utenti.

“Da un punto di vista tecnico siamo più che sicuri che se il governo decidesse di implementare un filtro Internet obbligatorio basato su una blacklist gestita dalla Australian Communications and Media Authority – dice il direttore di WebShield Anthony Pillino – la cosa può essere fatta senza nessun impatto alla velocità di Internet”. “Gli utenti non hanno sperimentato alcun problema” continua, “non hanno subito nessun degrado nel servizio quindi è stata un’esperienza piuttosto buona”.

Almeno le critiche sul fattore velocità sarebbero insomma da archiviare , ma a ben guardare la situazione è più complessa di quello che sembra a causa del basso – in taluni casi bassissimo – numero di utenti che ha deciso di testare la piattaforma censoria. A tal riguardo un ISP parla di “alcune migliaia di utenti”, una cifra irrisoria rispetto ai milioni di internauti australiani, e in un caso i partecipanti sono stati solo 15, l’1 per cento della base di utenza complessiva di un provider di piccole dimensioni.

Per quanto riguarda i blocchi di contenuti legittimi ancorché pruriginosi, infine, c’è chi ha denunciato l’impossibilità di accedere a un sito porno legale (“Redtube.com”) nonostante l’unica caratteristica di “discutibilità” del portale sia il fatto di essere rivolto a un pubblico di persone adulte ed evidentemente consenzienti a questo genere di visioni.

Apparentemente gli utenti australiani non vogliono avere niente a che fare col pedo-porno-filtro nemmeno per un semplice test, e interrogato sulla rappresentatività complessiva di uno studio di così ridotte dimensioni il responsabile dell’ISP Nelson Bay Online ha risposto in maniera inequivocabilmente negativa.

Anche considerando il blocco del sito per adulti di cui sopra, la confusione sulla portata dei filtri non fa che crescere col tempo con esponenti della comunità e del business gay che preconizzano cancellazioni arbitrarie di esercizi commerciali legittimi dalla sera alla mattina una volta che il sistema andasse a regime. Intanto il ministro per la banda larga, le comunicazioni e la digital economy Stephen Conroy dice che molto del futuro dei pedo-porno-filtri dipenderà dal risultato complessivo dei test in oggetto , sempre ammesso che gli ISP non chiedano di estenderne ulteriormente la portata vista la scarsa (ancorché assolutamente legittima) volontà di collaborazione da parte degli utenti.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
29 lug 2009
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