Le indagini sul furto al Louvre, da più parti già ribattezzato il colpo del secolo, proseguono. E mentre le autorità sono riuscite a individuare sette persone sospettate di aver preso parte al piano criminale, emergono dettagli a dir poco tragicomici a proposito dei sistemi di sicurezza impiegati dal museo parigino, uno dei più celebri (e si riteneva più sorvegliati) al mondo. A quanto pare, già in passato qualcuno aveva sollevato dubbi e perplessità a tal proposito.
Se la password del Louve è louvre
Il quotidiano Libération ha consultato documenti risalenti al 2014 e relativi a un controllo effettuato da ANSSI (Agence Nationale de la Sécurité des Systèmes d’Information). Da questi si apprende che la password scelta per proteggere l’accesso al sistema di videosorveglianza interno era louvre. Quella per gestire un software di sicurezza fornito da Thalès era invece thales. Insomma, come semplificare la vita ai criminali, una leggerezza che va ben oltre la piaga dell’onnipresente 123456.
Con tutta probabilità, si spera, in seguito i codici sono stati cambiati. Lo scoop lascia comunque intendere una certa pericolosa noncuranza sul fronte della sicurezza informatica. Tutti i presunti responsabili identificati non sembrano appartenere alla criminalità organizzata. Sono residenti nella periferia della capitale francese, a Senna-Saint-Denis. Alcuni hanno legami di parentela tra loro e altri precedenti penali. Insomma, ogni elemento sembra puntare nella direzione di un piano studiato nei minimi dettagli, ma senza che ci fosse alle spalle una vera e propria associazione.
Il furto ha permesso ai suoi autori di entrare nella Galleria d’Apollo del Louvre in pieno giorno, semplicemente indossando dei gilet gialli per confondersi con gli operai. Dopo aver rubato gioielli di Napoleone dal valore stimato in 88 milioni di dollari, sono tornai in strada dandosi alla fuga a bordo di una moto. La refurtiva non è stata recuperata e ci sono poche speranze di poterlo fare.