Gli eterni corsi e ricorsi dell'innovazione all'italiana

Gli eterni corsi e ricorsi dell'innovazione all'italiana

di G. Scorza - Dall'approvazione di un CAD che ricalca il vecchio, a sperimentazioni in ambito di digitalizzazione che vengono abbandonate a sé stesse. Quando si guarda al futuro con l'occhio del passato
di G. Scorza - Dall'approvazione di un CAD che ricalca il vecchio, a sperimentazioni in ambito di digitalizzazione che vengono abbandonate a sé stesse. Quando si guarda al futuro con l'occhio del passato

In un comunicato stampa del ministero dell’Innovazione dello scorso 19 febbraio si legge: “Questa mattina il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), proposto dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta. Questo decreto legislativo segna il passaggio dall’amministrazione novecentesca (fatta di carta e timbri) all’amministrazione del XXI secolo (digitalizzata e sburocratizzata)”. In realtà, al di là dell’enfasi e delle comprensibili istanze autocelebrative, il Consiglio dei ministri ha, più semplicemente, approvato lo schema di un decreto legislativo contenente talune modifiche al Codice dell’Amministrazione Digitale varato meno di 5 anni fa ma rimasto sin qui largamente disapplicato, quasi che non fosse mai entrato in vigore.

Non mi sembra, quindi, ci sia troppo da festeggiare nel salutare la versione bis di uno strumento normativo la cui applicazione è risultata a dir poco fallimentare. Le modifiche al “vecchio” (se si può ritenere vecchia una legge sull’innovazione in un Paese nel quale l’informazione online, solo per fare un esempio, è attualmente disciplinata da una legge del 1948, scritta dai padri costituenti) Codice dell’Amministrazione Digitale, peraltro, sono sfortunatamente deludenti e non solo non appaiono in grado di rilanciare l’innovazione della PA e di garantire al nuovo codice sorte migliore del suo giovane antenato ma, anzi, appaiono destinate a vita ancor più breve e, comunque, a rimanere ancora a lungo poco più che macchie di inchiostro su un foglio di carta (e non uso a caso le espressioni inchiostro e carta!).
A prescindere, tuttavia, dal contenuto del provvedimento, che pure non convince, è il contesto nel quale vede la luce e la sua presentazione a lasciare perplessi.

Nel comunicato stampa del Ministero dell’Innovazione, infatti, si evidenziano gli ingenti risparmi che il Nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale consentirà, una volta a regime – cosa che non accadrà, nella migliore delle ipotesi prima del 2012 – di ottenere alla PA, ai cittadini ed alle imprese attraverso la digitalizzazione delle comunicazioni e delle attività. Si produrranno, secondo i dati resi noti dal Ministero, 1 milione di fogli di carta in meno ogni anno per arrivare a 3 milioni nel 2012, si risparmieranno così circa 6 milioni di euro all’anno cui andranno ad aggiungersi 200 milioni di euro grazie alla posta elettronica certificata. Tutto ciò senza contare l’enorme risparmio – stimato in circa l’80% – dei tempi per l’evasione delle pratiche amministrative.

Ottimi propositi, non c’è dubbio, ma sfortunatamente sono assolutamente identici, per non dire sovrapponibili, a quelli che nel 2005 accompagnarono la presentazione dell’ormai “vecchio” Codice dell’Amministrazione Digitale. La Rete ha la memoria lunga e basta andare a ripescare il vecchio sito www.padigitale.it che l’allora ministro dell’Innovazione Lucio Stanca aveva dedicato al Codice dell’Amministrazione Digitale, per trovarne alcune inconfutabili conferme. Il “vecchio” sito, tuttavia, per qualche strana ragione, è stato ormai abbandonato ed il suo dominio ceduto ad una società privata che vende software per la pubblica amministrazione digitale… Per confrontare i propositi del vecchio ministro dell’Innovazione con quelli dell’attuale occorre, dunque, far appello alla memoria della Rete ed interrogare il motore di web.archive.org che tiene traccia dei siti che furono.

È così che si scopre che il Ministro Stanca nel presentare il suo “nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale” scriveva “Sono 35 milioni i certificati prodotti annualmente dalle pubbliche amministrazioni con un costo per i cittadini di circa 13,50 euro per ciascun certificato. La PA digitale potrà praticamente azzerare il numero dei certificati necessari attraverso la trasmissione dei documenti tra amministrazioni e la condivisone dei database. I cittadini e le imprese potrebbero quindi risparmiare oltre 400 milioni di euro”.
Ed aggiungeva poi “Si sono stimati in 31 milioni i messaggi di posta elettronica inviati tra pubbliche amministrazioni e nei contatti di queste con l’esterno e in 18 euro il risparmio ottenuto per messaggio rispetto alla gestione di un messaggio di posta fisico. Il Codice, riconoscendo piena validità giuridica alle comunicazioni per via telematica, pone le basi per un incremento di tale numero e soprattutto per una sostituzione quasi totale della vecchia trasmissione cartacea. Una stima prudente valuta in circa 360 milioni di euro i risparmi che ne potrebbero derivare già dal prossimo anno”.

Potrei continuare ancora parecchio ma preferisco lasciare a ciascuno il piacere di sovrapporre le promesse del passato con quelle del presente e scoprire che, al di là dei numeri che non tornano perché ciascuno mette in mostra i propri, cambiano i tempi, cambiano i ministri, cambiano i codici ma la politica italiana dell’innovazione rimane sempre la stessa ovvero quella degli annunci e delle sperimentazioni.
Ma c’è di più.

Ho già detto che il dominio padigitale.it attraverso il quale era stato presentato il “vecchio” Codice dell’Amministrazione Digitale e che avrebbe, forse, potuto essere utilizzato anche per il nuovo, è frattanto entrato a far parte del portafoglio di una software house privata che, probabilmente, ha approfittato del fatto che al ministero lo abbiano lungamente lasciato – chissà perché – inutilizzato ed alla deriva per farne un prezioso strumento di marketing.
Perché disfarsi di un dominio attraverso il quale i cittadini si erano ormai abituati ad accedere alle norme ed alle informazioni in tema di innovazione?

Potrebbe essere abbastanza ma non è così.
Tra i fiori all’occhiello – nonostante gli indiscutibili e gravi limiti – della “vecchia” politica dell’innovazione vi era il sito “Norme In Rete”, glorioso progetto di informatica giuridica – cogestito dal CNIPA e dal Ministero della Giustizia – attraverso il quale si era realizzato un motore di ricerca capace di interrogare centinaia di fonti pubbliche e di restituire al cittadino i link a leggi e provvedimenti in una versione quanto più possibile aggiornata. Se oggi si prova a raggiungere il sito ( www.nir.it ), ci si imbatte in un laconico avviso della Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia che informa che il portale Norme In Rete non è più disponibile.
Non più disponibile e non sostituito da qualcosa di più moderno.

Il punto è che, nello stesso sconfortante avviso, si imbattono anche tutti i cittadini, gli imprenditori e gli operatori del diritto degli altri Paesi europei che attraverso N-Lex , il portale europeo comune di accesso alla normativa nazionale, ricercano una legge italiana. Il portale , infatti, puntava – in assenza di altre risorse in un Paese nel quale l’accesso alle leggi continua ad essere affidato in via pressoché esclusiva ad editori privati – all’URL nir.it di Norme in rete. Il portale consente di accedere alla normativa di 23 diversi Paesi europei, spesso in più lingue e nella versione consolidata con le uniche due eccezioni di Italia e Portogallo.
Un bell’esempio di innovazione, non c’è dubbio.

D’altro canto, se si parla di accesso al patrimonio normativo nazionale la politica dell’innovazione italiana dà, probabilmente, il meglio di sé.
Sul suo sito , il Ministro per la Semplificazione Normativa Roberto Calderoli, nei giorni scorsi, ha presentato Normattiva che – a dispetto di quanto il nome potrebbe lasciare immaginare – non è né un nuovo vaccino anti-influenzale né uno di quegli yogurt dalle apparenti qualità miracolose di cui fanno la pubblicità in TV ma è, o almeno dovrebbe essere, il nuovo portale della normativa italiana attraverso il quale i cittadini dovrebbero finalmente avere accesso almeno alle leggi vigenti.
Nell’annuncio del Ministro – fedeli all’italica politica dell’innovazione dei proclami e delle promesse – si descrive così Normattiva: “Una vera, unica e certa banca dati pubblica che permetta di sapere quali siano le leggi effettivamente in vigore. L’incompletezza delle banche dati esistenti e la conseguente difficoltà nel recupero di una raccolta integrale in formato elettronico rendono di primaria importanza la realizzazione di questo complesso progetto volto a promuovere l’informatizzazione e la classificazione della normativa vigente al fine di facilitarne la ricerca e la consultazione da parte dei cittadini e a fornire strumenti utili all’attività di riordino normativo”.

Ottimi propositi ma è sufficiente spingersi a leggere le note legali rese disponibili sul sito del nuovo portale della normativa italiana perché non si possa, ancora una volta, non trovarsi costretti a pensare alla famosa canzone “parole, parole, parole soltanto parole…”. Scrivono, infatti, i legali del Ministero per la Semplificazione Normativa nell’informativa agli utenti del nuovo portale dell’informazione giuridica italiana: “I testi presenti nella banca dati Normattiva non hanno carattere di ufficialità. I Testi sono disponibili agli utenti al solo scopo informativo. La raccolta, per quanto vasta, è frutto di una selezione redazionale. La Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., non sono responsabili di eventuali errori o imprecisioni, nonché di danni conseguenti ad azioni o determinazioni assunte in base alla consultazione del portale”.
Serve aggiungere altro?

Come si fa a pensare di realizzare, nel 2010, un portale della normativa italiana vigente e pretendere che i cittadini lo consultino per mero “scopo informativo” ed accettando l’idea che il database – nato nell’ambito di un progetto per la semplificazione normativa – non sia altro che il frutto di una “selezione redazionale” ovvero, più o meno, dello stesso processo attraverso il quale si dà vita ad una rivista o ad un giornale? Una banca dati normativa che abbia l’ambizione di permettere ai cittadini di accedere alle leggi vigenti deve, almeno, rispondere al criterio della esaustività: ovvero non deve esserci nessun dubbio che non vi è altra norma vigente non contemplata nel database.

E poi, cosa dovrebbe fare un cittadino per essere sicuro che una certa norma è in vigore? Recarsi al poligrafico e sfogliare qualche impolverata Gazzetta Ufficiale che dal 1° gennaio non è più neppure distribuita? Bussare alla porta di un editore privato a suon di migliaia di euro all’anno? O, magari, lanciare una ricerca su Google e confrontare il testo trovato in Normattiva con gli altri reperiti in Rete, affidandosi poi alla statistica per sapere quale legge vige nel proprio Paese?
Il punto è che nel 2010 un servizio come quello di Normattiva non dovrebbe essere considerato come un lusso o, piuttosto, una soluzione “sperimentale” ma dovrebbe rappresentare un servizio pubblico essenziale che soddisfa un diritto fondamentale del cittadino.

Ma c’è ancora di più o, forse, dovrei dire di meno.
Nella stesse note legali, infatti, il Ministero, tanto per esser sicuro che nessuno prenda sul serio il portale, scrive che “L’unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana a mezzo stampa”.
Anche a prescindere dalla difficoltà di considerare innovativo anche solo di nome un progetto che nel 2010 suggerisce di verificare l’informazione digitale con quella stampata c’è un piccolo dettaglio probabilmente sfuggito al Ministro Calderoli: come è già stato acutamente rilevato la Gazzetta Ufficiale pubblica, sfortunatamente, solo il testo originario delle leggi e non anche quello consolidato – ovvero effettivamente in vigore – che avrebbe dovuto, invece, costituire il vero fattore innovativo del progetto del Ministro Calderoli.
A me sembrano gli eterni corsi e ricorsi storici dell’ anakyclosis polibiana, la politica dell’innovazione del gambero: si va avanti tornando indietro, e si pensa al futuro guardando al passato.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
22 feb 2010
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