Gli informatici, il web e gli Ordini

Gli informatici, il web e gli Ordini

di Roberto Scano (IWA-HWG) - Dove sta andando il riconoscimento delle professionalità IT italiane? Uno sguardo all'Europa ed un altro all'Italia. Nuove professioni e professioni non regolamentate: la nuova torre di Babele?
di Roberto Scano (IWA-HWG) - Dove sta andando il riconoscimento delle professionalità IT italiane? Uno sguardo all'Europa ed un altro all'Italia. Nuove professioni e professioni non regolamentate: la nuova torre di Babele?


Roma – Leggendo Punto Informatico, newsgroup e liste di discussione dedicati all’informatica si nota sempre maggiormente una globale “insofferenza” di chi quotidianamente opera nelle cosiddette “professioni non regolamentate”, ossia nelle attività professionali in cui non vi sia alcun “titolo” di “identificazione” per l’accesso alla professione. In questo documento ho cercato di riportare la situazione attuale, cercando allo stesso tempo di fornire indicazioni utili allo sviluppo di una normativa di riforma (e, aggiungerei, di riconoscimento) delle professioni.

Dall’Europa: professioni regolamentate e qualifiche professionali
Per arrivare alla situazione odierna è necessario tornare indietro di qualche anno, esattamente al 2000, anno in cui l’Unione Europea ha deciso di prendere posizione per queste problematiche.

A Lisbona, nella primavera del 2000, l’Unione europea si è prefissata l’obiettivo strategico di creare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Dall’avvio della strategia di Lisbona sono stati creati cinque milioni di nuovi posti di lavoro e la disoccupazione si è ridotta di due milioni di unità, come sottolineato nelle conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles del 20-21 marzo 2003.

Istruzione e formazione restano al centro delle strategie delineate per modernizzare le economie europee ed è per tale motivo che – come vedremo in seguito nel documento – l’Unione ha richiesto un’armonizzazione nella formazione nonché un reciproco riconoscimento dei titoli di studio tra i diversi paesi membri.

Il riconoscimento professionale si fonda su una presunzione di corrispondenza e affidabilità dei percorsi formativi che danno accesso, in Stati diversi, ad una stessa attività o ad attività corrispondenti e, in caso di differenze sostanziali, può essere condizionato dal superamento di specifiche misure compensative.

Tutte queste iniziative si sarebbero limitate alle professioni regolamentate se nel documento uscito dal Consiglio europeo di Lisbona non fossero state inserite delle interessanti definizioni fondamentali:

a) “professioni regolamentate”: attività, o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, è subordinata direttamente o indirettamente, attraverso norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinata qualifica professionale;
b) “qualifiche professionali”: le qualifiche attestate da un titolo di formazione, un attestato di competenza e/o un’esperienza professionale;
c) è assimilata a una professione regolamentata una professione esercitata dai membri di un’associazione o di un organismo.

Quanto sopra riportato è un estratto del “Parere del Comitato economico e sociale in merito alla proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 14 marzo 2003.

Con questa iniziativa l’Unione Europea ha voluto dare un’indicazione agli stati membri al fine di incentivare un dialogo con le associazioni professionali per le professioni non regolamentate in modo da poter riconoscere le nuove professionalità emergenti, evitando la creazione di nuovi ordini professionali.

Dall’Italia: interpretazione della Comunicazione Europea
Nel nostro paese sono in atto da anni proposte di iniziative normative rivolte al riconoscimento di specifiche professionalità. Nel settore informatico, ad esempio, si è avuto modo di leggere, sempre su Punto informatico, della problematica di accesso degli ingegneri informatici nell’iscrizione all’ordine degli ingegneri , nonché le iniziative di talune categorie di informatici con la pronta analisi da parte di IWA/HWG.

La situazione italiana non è per nulla chiara: da una parte vi sono iniziative normative volte a tutelare le professioni regolamentate espandendone i campi di azione e di promozione, dall’altra invece vi sono iniziative che tendono a voler creare nuovi “ordini non regolamentati” al fine di avviare corpose iniziative formative.

Le proposte normative
Tra tutte figura la proposta normativa del CNEL presentata il 17 febbraio 2003 e ferma alla Camera dei Deputati dal 4 marzo 2004. Assieme a questa proposta alla Camera dei Deputati sono analizzate le seguenti proposte normative:

Atto Camera 901 – Disciplina delle professioni intellettuali – On. Alfredo Biondi (Forza Italia) – Presentato in data 20 Giugno 2001;
Atto Camera 1048 – Istituzione del “Certificato professionale controllato” e delega al Governo per la disciplina delle professioni non regolamentate – On. Piero Ruzzante (Dem.Sin.-Ulivo) – Presentato in data 26 Giugno 2001;
Atto Camera 1890 – Riforma delle professioni intellettuali – On. Ettore Peretti (CCD-CDU Biancofiore) – Presentato in data 31 Ottobre 2001;
Atto Camera 2112 – Disciplina delle professioni intellettuali – On. Gianni Mancuso (AN) – Presentato in data 17 Dicembre 2001;
Atto Camera 2488 – Disposizioni per la regolamentazione delle nuove attività professionali – On. Pierluigi Mantini (Margherita, DL-Ulivo) – Presentato in data 6 Marzo 2002;
Atto Camera 2552 – Disposizioni in materia di certificazione di qualità professionale – On. Massimo Polledri (Lega Nord Padania) – Presentato in data 21 Marzo 2002;
Atto Camera 2708 – Legge quadro sulle professioni intellettuali – On. Pierluigi Mantini (Margherita,DL-Ulivo) – Presentato in data 7 Maggio 2002
Atto Camera 2767 – Disciplina delle nuove attività professionali intellettuali – On. Gabriella Pistone (Misto, Comunisti italiani) – Presentato in data 16 Maggio 2002.
Atto Camera 4308 – Riforma delle professioni intellettuali – On. Marco Follini (UDC) – Presentato in data 25 settembre 2003.

Al Senato della Repubblica, invece, risultano in discussione le seguenti normative:

Atto Senato 258 – Disciplina delle professioni non regolamentate – Sen. Stefano Bastianoni (Mar-DL-U) – Presentato in data 20 giugno 2001;
Atto Senato 691 – Disciplina delle professioni intellettuali – Sen. Domenico Nania (AN) – Presentato in data 27 settembre 2001;
Atto Senato 804 – Disciplina delle professioni intellettuali – Sen. Andrea Pastore (FI) – Presentato in data 7 novembre 2001;
Atto Senato 1748 – Legge quadro sulle professioni intellettuali – Sen. Alessandro Battisti (Mar-DL-U) – Presentato in data 6 giugno 2002;
Atto Senato 1597 – Disciplina delle società tra professionisti – Sen. Guido Calvi (DS-U) – Presentato in data 11 luglio 2002;
Atto Senato 2204 – Riforma delle professioni intellettuali – Sen. Giancarlo Pasquini (DS-U) – Presentato il 15 aprile 2003;

Cosa accomuna tutte queste proposte normative? Da una rapida lettura si evince come vi siano molteplici volontà normative ma tutte raggruppabili nelle seguenti intenzioni:

– mantenere gli “albi” esistenti;
– richiedere il riconoscimento delle professioni non regolamentate dall’art. 2229 del Codice Civile;
– definire le modalità di rilascio di attestati e certificazioni;
– definire le modalità di iscrizione delle associazioni a determinati “elenchi riconosciuti”.


L’accesso alle professioni
E’ ben chiaro che l’accesso alle professioni regolamentate dovrà essere libero, senza vincoli di tipo formativo, considerando che la maggior parte degli operatori in questi settori della “new economy” non hanno potuto frequentare iniziative formative per il settore lavorativo, iniziative che a tutt’oggi non esistono.

In questo contestiamo quindi il manifesto del COLAP che raggruppa circa 140 associazioni professionali, tra cui associazioni del campo informatico, che al punto 6 che dichiara:
1. Accesso ad ogni libera professione garantito a tutti i soggetti che lo richiedono e che abbiano:
– conseguito un titolo di studio attestante una formazione di base adeguata per quella attività professionale
– ovvero (o anche) svolto un periodo di tirocinio di tipo operativo o, in alternativa, frequentato con esito positivo corsi specialistici che garantisca una formazione professionalizzante altrettanto adeguata.
– ottenuto un’eventuale certificazione di parte terza (ad esempio in conformità alla norma EN 45013) oppure, in alternativa, nei casi previsti, superato un Esame di Stato organizzato in modo da poter costituire una efficace valutazione delle capacità del candidato ad esercitare una determinata libera professione.
– stipulato una polizza assicurativa relativa ai rischi inerenti l’esercizio dell’attività professionale.

Vale a dire che gran parte di chi oggi opera nel settore informatico (e in particolar modo per il settore web) – se qualcuno a livello normativo dovesse sposare questa idea – si troverà di punto in bianco senza possibilità di svolgere un lavoro.

La certificazione professionale e di qualità professionale
Riconoscendo la corretta interpretazione per i primi due punti, ossia la necessità di riconoscimento delle professioni non regolamentate nonché mantenere gli ordini professionali (anche se, personalmente, sarei per la lenta “migrazione” da “ordini” ad “associazioni professionali controllate”) è necessario però chiarire che tutti i progetti di legge risultano essere lacunosi – e in alcuni casi dannosi – rispetto la scottante questione delle certificazioni professionali.

Un progetto di legge che affronta – forse anche troppo specificatamente tale aspetto – è il progetto di legge dell’On. Massimo Polledri (Lega Nord Padania) in cui si inserisce giustamente il concetto di certificazione della qualità professionale come requisito non obbligatorio per svolgere la professione ma requisito distintivo – riferendosi alla normativa EN 45013 in materia di certificazione delle persone.

A livello internazionale la normativa europea di riferimento per la certificazione delle persone è la EN 45013, ora divenuta ISO/IEC 17024:2003 (“Conformity assessment – General Requirements for bodies operating certification of persons”) che basa la certificazione sulla qualità e sul rapporto di fiducia cliente – utente certificato.

E’ da chiarire per l’ennesima volta che la certificazione non è – e non deve essere proprio per il significato della parola stessa – un’abilitazione alla professione ma un attestato di qualità professionale che viene rilasciato esclusivamente ai soggetti che:
– dimostrano di possedere le competenze previste dal programma di certificazione;
– hanno sottoscritto un codice deontologico.

La differenza tra la certificazione e gli attuali titoli che consentono l’accesso alle professioni regolamentate sta nella sua validità: secondo le norme EN non è rilasciata a vita ma ha durata di tre anni e per ottenerne il rinnovo le persone devono dimostrare di continuare a svolgere l’attività per cui sono state certificate, dimostrando di aver rispettato il codice deontologico sottoscritto e di aver portato avanti un programma di sviluppo professionale continuo con studi, aggiornamenti professionali, ricerche, approfondimenti su tematiche particolari e di rispondere alle nuove richieste di competenza determinate dal mercato.

L’attività di certificazione poi va assolutamente delegata a terze parti non coinvolte nell’attività di formazione al fine di non creare conflitti di interessi.
Le associazioni, gli attestati e le certificazioni
In diverse proposte di legge si propone che le associazioni professionali con determinati requisiti possano rilasciare dei “titoli” (non è ben chiaro la valenza) al fine di consentire il riconoscimento dei propri associati. Ciò sembrerebbe una versione “light” dei requisiti della normativa EN 45013 ma ciò che soprattutto dovrà esser chiarito è l’uniformità nei requisiti formativi delle associazioni che operano nello stesso settore. Immaginiamo ad esempio due associazioni di informatici in cui nell’associazione A si richiedono 10 requisiti di conoscenza mentre nell’associazione B si richiedono 50 requisiti di conoscenza per rilasciare l’attestato: la normativa non può mettere sullo stesso piano gli attestati A e B ma deve coinvolgere le due associazioni (e le altre operanti nella categoria) per definire di concerto delle linee guida generali alle quali applicare le attività di rilascio di attestazioni.


La “riforma Vietti”, questa sconosciuta
La “controproposta” presentata dal Governo, per mezzo della cosiddetta Commissione Vietti, in parte ricalca la struttura di base, ma attribuisce molta più importanza agli ordini professionali classici, lasciando un po’ in secondo piano il ruolo della certificazione professionale.
Nella sua versione originale del 5 marzo 2003, l’art. 2 della proposta era il seguente:

2. Per professione intellettuale si intende l’attività, anche organizzata, diretta al compimento di atti ovvero alla prestazione di servizi e opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e in via prevalente con lavoro intellettuale, per la quale è richiesto un titolo di studi universitario o di pari livello avente valore legale.

A questo punto viene da chiedersi se sia stata fatta un’analisi delle proposte normative prima di proporre un tale testo.

Sembra comunque che alcune associazioni professionali che rappresentano diversi gruppi di associazioni (come il suddetto COLAP) siano state sentite più volte dalla commissione competente e – dalle ultime notizie disponibili dalla rassegna stampa del COLAP – sembra che il testo sia stato notevolmente modificato.

Ho cercato di individuare il testo di tale proposta ma nel sito della Camera dei Deputati di tale testo non vi è traccia. Sembra che ci sia gran fermento da tutti i settori, sia associativi che politici, per il testo di questa riforma delle professioni che dovrebbe porre l’attenzione nella libertà di iniziativa e riconoscimento professionale tramite le indicazioni EN ed ISO in materia di qualità professionale piuttosto che delegare a degli statici titoli di studio tradizionali l’accesso a delle professioni che – come nel caso del web – non potrebbero essere svolte in quanto tali titoli di studio non esistono.
Ma intanto si creano nuovi ordini professionali

Roberto Scano
IWA/HWG

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Pubblicato il
22 nov 2004
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