Gmail, l'ombra dell'intercettazione

Gmail, l'ombra dell'intercettazione

L'analisi della posta in entrata non è una pratica necessaria allo scambio delle email, ma serve a profilare i netizen a fini pubblicitari. E potrebbe violare le leggi statunitensi
L'analisi della posta in entrata non è una pratica necessaria allo scambio delle email, ma serve a profilare i netizen a fini pubblicitari. E potrebbe violare le leggi statunitensi

Le argomentazioni di Google non sono bastate a convincere i giudici statunitensi a chiudere il caso: non è scontato che Gmail possa considerarsi come un segretario, che smista e consulta la posta del principale per agevolargli il lavoro. Di fatto il servizio di posta elettronica di Mountain View raccoglie informazioni su mittente e destinatario delle email in entrata, e questa pratica potrebbe essere considerata intercettazione illegale.

La mozione di Goole, depositata nel mese di agosto presso un tribunale californiano, aveva l’obiettivo di scongiurare il proseguire di una potenziale class action: un manipolo di cittadini della Rete lamentava il fatto che Gmail operasse un controllo, pur automatizzato, sulla posta in entrata, per rendere più efficaci i filtri antispam e per rastrellare informazioni utili a somministrare pubblicità tagliata su misura di mittente e destinatario delle missive. Secondo Google la pratica, enunciata con chiarezza nelle condizioni d’uso di Gmail, sarebbe perfettamente in linea con il quadro normativo statunitense, posto che il servizio offerto sarebbe equiparabile a quello di un segretario che organizza la corrispondenza.

Il giudice Lucy Koh ha invece rilevato che la situazione non è così lineare come illustrato da Mountain View: il comportamento di Gmail sarebbe perfettamente legale se la pratica di analisi delle email fosse “strumentale” alla gestione del flusso della posta elettronica. L’intento di Google, però, sarebbe ben diverso: “La potenziale intercettazione del contenuto delle email è primariamente utile per creare profili degli utenti e per fornire pubblicità personalizzata – ha osservato il giudice – e nessuno di questi scopi è correlato alla trasmissione delle email”. Le condizioni d’uso di Gmail non spiegherebbero in maniera evidente gli obiettivi dell’analisi, e soprattutto non lo farebbero a favore dei mittenti di missive destinate a utenti Gmail che utilizzino servizi diversi da quello di Google.

A decidere se il comportamento della Grande G sia o meno da considerare una violazione delle leggi statunitensi che regolano le intercettazioni e tutelano la privacy sarà il tortuoso corso legale del contenzioso.

Gaia Bottà

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Pubblicato il 30 set 2013
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