Spendere di più per avere un computer facilmente riciclabile? Si può. Secondo una ricerca condotta da Greenpeace l’utente medio sarebbe disposto a destinare tra i 100 e i 200 dollari in più rispetto ai consueti prezzi di mercato per acquistare una macchina che, una volta terminata la sua vita operativa, non inquini più del dovuto.
Lo studio coincide con l’annuncio di Dell , che intende escludere dai suoi prodotti una serie di sostanze chimiche dannose, come l’arsenico e i polivinilici, a partire dal 2009. L’azienda si affianca così ad altri colossi del settore che hanno chi prima chi dopo iniziato a muoversi in questa direzione. È dell’inizio di giugno una importante iniziativa di Apple , che ha lanciato sul mercato americano il cosiddetto take back program , che dovrebbe facilitare il recupero e la messa a riposo dei computer obsoleti con procedure avanzate di smaltimento e riciclaggio.
Si tratta, spiega Greenpeace, di notevoli passi avanti: l’obiettivo finale rimane la riduzione all’osso del cosiddetto “e-waste”. Lo definisce così fin dal 2004 uno studio delle Nazioni Unite che indagava sui modi in cui materiali tossici presenti in computer usati in mezzo mondo finissero in discariche generiche, dunque al di fuori di un qualsiasi progetto di “smaltimento intelligente”.
Solo negli Stati Uniti ogni anno vengono destinati al macero 30 milioni di computer , e in India e Cina, paesi che contano insieme 2 miliardi e mezzo di persone, si creano quotidianamente vere e proprie montagne di metallo, spesso causate dall’importazione illegale di rifiuti hi-tech dall’estero, Stati Uniti in primis.
Anche in Italia le cose si muovono, come dimostrano ad esempio le iniziative di CDC che nei mesi scorsi ha annunciato il recupero di 60 tonnellate di materiali altrimenti destinati alla raccolta non differenziata, e circa 23mila tra cartucce, toner e circuiti integrati. Dietro a molte operazioni italiane c’è Legambiente , ormai da tempo impegnata su questo fronte.
Giorgio Pontico