Il curioso caso della nonna del file sharing

Il curioso caso della nonna del file sharing

A una donna statunitense viene tagliata la connessione perché colpevole di aver scaricato illegalmente 18 film. Nessun avviso era stato spedito dal provider. Ma soprattutto, nessuna pellicola era stata racimolata a mezzo P2P
A una donna statunitense viene tagliata la connessione perché colpevole di aver scaricato illegalmente 18 film. Nessun avviso era stato spedito dal provider. Ma soprattutto, nessuna pellicola era stata racimolata a mezzo P2P

Cathi Cat Paradiso sembra una tranquilla nonna di 53 anni, invece è una fedele adepta del file sharing illecito. Anzi, no. Cathi Cat Paradiso ama dipingere nella sua dimora in Colorado e non scaricherebbe mai un film o un disco senza pagare. Non si tratta di schizofrenia da manuale, ma di due reali Cathi Cat Paradiso. Una è la rappresentazione di chi la conosce bene, una è l’immagine che ha di lei il suo fornitore di connettività.

Spiegando meglio, la donna statunitense era entrata a far parte della lista nera della grande industria del cinema nell’ottobre scorso. Il suo indirizzo IP era associato a una serie di colpi a mezzo P2P, dal furto di Zombieland a quello di Harry Potter (uno dei tanti, è uguale), fino a passare per South Park .

All’industria ci sarebbe voluto qualche mese per decidere il da farsi, il tempo di far lievitare il conto di Cat Paradiso: 18 film, 18 distinte violazioni del diritto d’autore. Quindi, alla metà di gennaio, l’industria del cinema avrebbe contattato Qwest Communications , l’ISP che forniva la connettività alla signora Paradiso. Risultato? Cat è stata tagliata fuori dalla Rete .

E senza alcun preavviso , almeno stando a quanto dichiarato dalla donna. Per di più, il provider ha sottolineato come il servizio sarebbe stato terminato definitivamente alla prossima violazione del diritto d’autore. Solo che Cathi Cat Paradiso era fermamente convinta di non aver scaricato illegalmente nemmeno un minuto di pellicola .

Ma i responsabili di Qwest Communications hanno insistito, suggerendole l’inutilità di rivolgersi ad altri provider. Questi avrebbero avuto il suo nome in archivio, come se fosse schedata quale nemica giurata del copyright. E Cathi Cat Paradiso si è rivolta ad un avvocato, all’industria stessa, convinta di non aver fatto alcunché di male.

E infatti non aveva fatto nulla di male . Il caso ha attirato l’attenzione dei giornalisti di CNET.com , che hanno fatto pressioni su Qwest , affinché si eseguisse un’indagine tecnica approfondita. Il risultato? La rete non era sotto il controllo della donna, il reato era opera di malintenzionati terzi. Alla fine, il servizio da parte di Qwest è stato ripristinato.

Tutto bene quello che finisce bene, ma il caso ha creato non pochi allarmi. Quello di Qwest sarebbe un ulteriore esempio di come l’industria dei contenuti stia utilizzando i provider come sceriffi della Rete. Paradiso non avrebbe ricevuto comunicazioni da parte dell’ISP e si sarebbe sentita particolarmente impotente davanti all’accaduto.

La donna infatti si è chiesta cosa sarebbe successo se la redazione di CNET non fosse intervenuta. Preoccupata anche Electronic Frontier Foundation (EFF) che ha sottolineato come in questo caso non sia stata rispettata la presunzione d’innocenza dell’utente. Un semplice IP può davvero bastare per condannare un netizen all’esilio forzato dalla Rete?

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
3 feb 2010
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