Washington (USA) – “Non vedo differenze sostanziali”: così Thomas Penfield Jackson si è espresso ieri relativamente al caso antitrust contro Microsoft, paragonando la situazione di quest’ultima a quella della Standard Oil di John Rockefeller che nel 1906 si vide smembrare l’azienda accusata di monopolio.
Nelle scorse ore si è tenuta l’udienza finale, quella delle argomentazioni conclusive dell’accusa e della difesa del processo antitrust, argomentazioni che hanno evidenziato una distanza abissale tra le due. Da un lato il Dipartimento della giustizia secondo cui “è impossibile immaginare che il caso possa chiudersi senza che Microsoft sia riconosciuta colpevole”; dall’altro la difesa dell’azienda, secondo cui “è impossibile che Microsoft sia ritenuta colpevole”.
L’accusa ha sostenuto che quello di Microsoft “è un monopolio di vecchio tipo anche se messo a nuovo sotto il vestito dell’hi-tech”. Mentre l’azienda ha risposto che il mercato del software ha caratteristiche uniche, di dinamicità, di competizione, e che di queste si dovrebbe tenere conto con grande attenzione. “La legge, ha affermato uno dei difensori, non dovrebbe essere riscritta per impedire a Microsoft, o a qualsiasi altra azienda, di competere con aggressività sul mercato”.
A questo punto, come titolava Wired, la posizione di Microsoft è nelle mani del giudice che, se agirà come molti si aspettano, pronuncerà un verdetto di colpevolezza. In quel caso in una serie di udienze successive verranno stabiliti i termini per “porre rimedio” a quello che viene considerato “il monopolio Microsoft”. E su quali soluzioni possano essere individuate stanno dibattendo tutti gli esperti di diritto commerciale americani su tutti i media?