Niente nudo, siamo Playboy

Niente nudo, siamo Playboy

La società è già saturata dal porno che circola online. Per questo la rivista si reinventa in versione casta, proprio quando le regole dei social network si mostrano più rigide di quelle della società degli anni cinquanta
La società è già saturata dal porno che circola online. Per questo la rivista si reinventa in versione casta, proprio quando le regole dei social network si mostrano più rigide di quelle della società degli anni cinquanta

Playboy non pubblicherà più nudi integrali sulle proprie pagine: Internet ha vinto la gara ai contenuti a luci rosse ai danni della rivista che ha intrattenuto e formato diverse generazioni e che ora decide di cambiare in parte linea editoriale.

Playboy

Per quanto – o forse proprio perché – uno dei meme fondamentali reciti “Internet is for porn”, la celebre rivista aveva già abbandonato il nudo sul proprio sito. Ora ha preso un’altra decisione che ha il sapore amaro dei tempi che passano: ha ammainato la bandiera che per anni ha alzato nella terra del nudo e anche per il cartaceo ha deciso di rinunciare alla competizione su questo terreno con le miriadi di contenuti a luci rosse che si possono trovare online .

Pur essendo stata negli anni pioniera della battaglia per la riforma della morale, spiega l’attuale CEO Scotto Flanders, “quella battaglia è stata combattuta e vinta ed adesso non possiamo più restare in competizione con un mondo in cui chiunque è ad appena un click gratuito da qualsiasi atto sessuale possibile”.

La celebre rivista fondata e ancora guidata da Hugh Hefner, d’altra parte, ha subìto come altre pubblicazioni la concorrenza del digitale: basta pensare che è passata da 5,6 milioni di copie vendute nel 1975 a circa 800mila oggi. Negli anni, d’altra parte, sono stati diversi i tentativi per adattarvisi, come l’ hard drive targato Playboy e contenente la collezione della rivista in versione digitale dal dicembre 1953 al dicembre 2009 o i vari tentativi di approdare su iPad. Nel 2013 , poi, Playboy si è trovata ad essere condannata nel Regno Unito per 100mila sterline dall’ Office of Communications (Ofcom) per aver protetto i suoi contenuti agli occhi dei minorenni proprio come tutto il resto della Rete: ovvero con una semplice schermata con cui si chiede di cliccare “accedi” se si è maggiorenni.

La nuova impostazione senza nudo rappresenta dunque una rivoluzione quasi attesa, un nuovo tentativo di capire l’Internet in cui si deve muovere: a guidarla c’è uno dei top editor della rivista, Cory Jones, che ha convinto Hefner che pur continuando a mostrare donne in pose provocatorie, la rivista debba abbandonare il nudo. Ripartirà così dal prossimo marzo con una versione senza nudi, editoriali dedicati alla sessualità femminile ed alcuni dei contenuti di qualità che l’hanno sempre contraddistinta, storie inedite e reportage.

Senza nudi, soprattutto, potrà contare sulla possibilità di essere condivisa sui social network ed altre piattaforme online, che si sono dimostrate dalla dura moralità e profondamente refrattarie al nudo, anche artistico .

Playboy, insomma, perderà lo status di rivista vietata ai minori perseguendo la conta dei click in competizione con le altre riviste culturali e assoggettandosi alle regole di tali piattaforme: già aveva preparato in realtà una versione “safe-for-work” raggiungendo i dieci milioni di lettori al mese e quest’ultimo passo è solo la logica conseguenza.

Forse, tuttavia, Hefner è semplicemente stanco di lottare per la libertà dei costumi ed ha deciso di limitarsi a raccogliere gli introiti che il marchio costituito dal suo celebre coniglietto può ancora generare : un logo negli anni diventato iconico e quindi più importante, probabilmente, del nudo e delle curve a cui nel corso degli anni è stato accompagnato. D’altra parte appare difficile che all’apice della sua carriera e della sua ribellione contro i costumi imposti da una società puritana Hefner avrebbe mai accettato le regole di Facebook che “limita la possibilità di pubblicare nudo in quanto potrebbe offendere parte del pubblico della sua community globale” o di Twitter che nasconde tali contenuti dietro un avviso.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
14 ott 2015
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