No, nessun cartello sui prezzi della musica digitale

No, nessun cartello sui prezzi della musica digitale

Le major sono assolte da un giudice federale negli States: non vi sono accordi sottobanco o illegali per controllare i prezzi della musica venduta sul mercato digitale
Le major sono assolte da un giudice federale negli States: non vi sono accordi sottobanco o illegali per controllare i prezzi della musica venduta sul mercato digitale

Prima ci ha provato LimeWire con la RIAA , ora ci han provato alcuni consumatori con le major della musica ma in entrambi i casi il risultato è lo stesso: i magistrati statunitensi ritengono che non sussistano intese illegali per controllare il mercato della musica digitale, non vi siano cartelli tra imprese e che, dunque, sussista un mercato di libera ed equa concorrenza .

Lo ha stabilito, segnala DigitalMusic , un tribunale federale, che ha anche cancellato l’accusa di una intesa sotterranea per mantenere artificialmente elevati i prezzi dei CD .

Ad essere prese di mira dai consumatori erano le quattro grandi del settore (Universal, Warner, EMI e Sony): l’idea che vi fosse un cartello nasceva dal fatto che nei diversi canali distributivi online, in particolare i jukebox con cui le major hanno stretto accordi, la musica viene venduta a prezzi del tutto simili, spesso identici.

La decisione del tribunale del Southern District risulta di particolare rilievo sia per l’importanza del tribunale stesso sia per il “timing” della decisione. Come osservava Warner di recente, dall’agosto 2006, in seguito alle indagini su questo fronte svolte dal procuratore generale dello Stato di New York, sono decine le class action con cui i consumatori hanno “aggredito” il mercato della musica digitale controllato dalle major.

Secondo i giudici, dunque, le major non si muovono in modo simile per intese sottobanco quanto invece perché affrontano con azioni che corrono parallele un cambiamento epico del proprio mercato di riferimento. “Non ci sono accordi, comunque – ha scritto il giudice – solo perché un oligopolista decide un prezzo elevato sapendo, o sperando, che altri oligopolisti seguiranno la stessa strada. Si tratta di un parallelismo consapevole e, come ha già determinato la Corte Suprema, azioni parallele, anche quando intraprese consapevolmente, non costituiscono in sé una associazione illecita”.

Come a dire, insomma, che le major forse pompano pure i prezzi dei CD, magari anche i prezzi dei file digitali, ma se lo fanno è perché sanno che le altre major opteranno per la medesima soluzione, e non perché hanno stretto accordi illegali preventivi. Una dimostrazione, evidentemente, di come il consolidamento del mercato musicale negli ultimi decenni, in cui i cataloghi più rilevanti sono tutti finiti nelle mani delle quattro sorelle, ha condotto ad un oligopolio, citato anche dal tribunale, i cui effetti in molti casi non sono favorevoli ai consumatori quanto, appunto, agli oligopolisti.

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Pubblicato il
13 nov 2008
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