Paul Allen corregge il tiro, ma non troppo

Paul Allen corregge il tiro, ma non troppo

Precisate le accuse mosse ai giganti ICT. Ma ad essere coinvolto resta sempre pressoché qualsiasi servizio operante sul Web
Precisate le accuse mosse ai giganti ICT. Ma ad essere coinvolto resta sempre pressoché qualsiasi servizio operante sul Web

Paul Allen non molla l’osso : non cede posizioni nella causa intentata contro 11 tra le più importanti aziende ITC e precisa, come richiesto, le accuse in un primo momento respinte perché giudicate “spartane” dal giudice dalla Corte.

I quattro brevetti di Interval Licensing, l’azienda del cofondatore di Microsoft chiusa nel 2000, che secondo Allen meriterebbero di far saltare in aria il settore ITC riguardano l’e-commerce e in generale la navigazione online, ma secondo il giudice l’accusa aveva in un primo momento mancato di specificare nel dettaglio le infrazioni denunciate: gli era stato dato tempo fino al 28 dicembre per correggere , o meglio integrare, il tiro e non vedere la sua denuncia del tutto respinta.

Le integrazioni , contenute in un documento di 35 pagine , si riferiscono a una vasta gamma di funzioni che sembrano per la verità realtà consolidate online : semplici link consigliati, varie forme di raccomandazioni e accostamenti tra prodotti collegati da acquistare.

Con le specificazione, come chiesto dal giudice, Interval Licensing scende nel dettaglio non limitando però poi molto i bersagli da colpire: delinea una serie di opzioni ormai estensivamente adottate online, ritenendole in violazione delle sue rivendicazioni.

Inquadra in questo modo i servizi di Apple, Google, YouTube, Facebook, Yahoo, AOL, eBay, Netflix, Office Depot, OfficeMax e Staples che infrangerebbero i brevetti depositati negli anni 90: per quanto riguarda Apple, solo per fare qualche esempio, il sistema di comparazione oggetti utilizzato in iTunes (l’esempio classico è la rotazione delle copertine degli album in vendita), Apple TV, App Store e Dashboard, mentre per Mountain View coinvolti sarebbero Google search, Gmail, Google Finance, Google, Videos, Google Maps, Orkut, Google Books e AdSense in toto. E poi ancora Android per le tecnologie impiegate nei messaggi, con Google Talk, Google Voice e Calendar.

Si tratta, insomma, di una tesi accusatoria talmente estesa che secondo alcuni non sarebbe altro che un metodo ironico per mettere alla berlina la deriva presa dal sistema brevettuale.
In generale, infatti, secondo la tesi dell’accusa a violare i quattro brevetti sarebbero tutti i siti che impiegano finestre pop up, suggerimenti fatti di link collegati o raccomandazioni di semplici prodotti e servizi che potrebbero interessare l’utente.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
4 gen 2011
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