I chatbot AI stanno cambiando tutto, nel bene e nel male. Se da un lato questi strumenti offrono opportunità entusiasmanti, dall’altro presentano rischi preoccupanti, soprattutto quando vengono usati in modo improprio nelle discussioni sui social media.
Basta aprire Facebook o Instagram per trovare commenti che puzzano di intelligenza artificiale lontano un miglio. Gente che copia-incolla risposte di Gemini per sembrare più intelligente nelle discussioni, o che usa ChatGPT come “prove” per sostenere le proprie tesi o smontare quelle degli altri. Un comportamento preoccupante, che denota scarsa consapevolezza sull’affidabilità di questi strumenti.
- L’ingannevole patina di autorevolezza dell’AI
- Non usare l’AI come fonte primaria, ma verificare sempre
- Contestare chi usa l’AI come fonte nelle discussioni
- L’uso distorto dell’AI nei dibattiti online: un campanello d’allarme da non trascurare
- Perché dovremmo ripensare il rapporto con l’intelligenza artificiale?
L’ingannevole patina di autorevolezza dell’AI
Chi usa quotidianamente i chatbot AI sa bene quanto possano essere inaffidabili. Anche i modelli più avanzati, come GPT-4o, hanno un’accuratezza intorno al 90%. Significa che almeno 1 informazione su 10 potrebbe essere sbagliata. Per i modelli più comuni, come GPT-4.5 o 4o, l’accuratezza è ancora più bassa: rispettivamente il 63% e il 38%. In pratica, in questi casi, fare affidamento al 100% su un chatbot AI è rischioso quasi quanto tirare una moneta.
Eppure, molti utenti accettano ciecamente qualsiasi cosa dica l’AI, anche se palesemente errata. Il motivo? L’output dei chatbot ha una patina di autorevolezza che trae in inganno chi non ha familiarità con questi strumenti. Uno studio della BBC ha confermato che i chatbot AI sono poco affidabili nel riportare gli eventi attuali: il 51% delle risposte conteneva significative imprecisioni.
Usare l’AI per ottenere informazioni durante una discussione è quindi un’arma a doppio taglio: la rapidità delle risposte è vanificata dalla loro inaccuratezza.
Non usare l’AI come fonte primaria, ma verificare sempre
Cosa fare, quindi, di fronte a questo trend? Il consiglio è chiaro: non usare mai l’output diretto di un chatbot come fonte per una discussione online. Nel migliore dei casi, si passerà per ingenui; nel peggiore, si diffonderà disinformazione. Anche se un giorno i chatbot AI dovessero raggiungere l’affidabilità di fonti autorevoli, sarebbe comunque doveroso verificare ogni loro affermazione. Un’accuratezza del 99% implica comunque un margine di errore.
Se proprio si vuole usare un chatbot AI, è fondamentale chiedere sempre le fonti e verificarle prima di condividere le informazioni. Non bisogna fidarsi ciecamente: l’AI può inventare link, fonti o travisare i contenuti. La sua apparente legittimità si sgretola rapidamente se sottoposta al pensiero critico. Non ci si deve far ingannare da risposte che suonano convincenti ma che, a un esame attento, si rivelano infondate. La forma può ingannare, ma la sostanza va sempre verificata.
Facciamo un esempio pratico. Immaginiamo di chiedere a un chatbot AI: “Quando è stata fondata Wikipedia?” e di ricevere la risposta: “Nel 2003, da Larry Page e Jimmy Wales.”
La frase suona credibile, ma contiene due errori: Wikipedia è stata fondata nel 2001, e Larry Page non è tra i fondatori (è co-fondatore di Google). Se questa informazione venisse usata in un post, un commento o una presentazione, si rischierebbe una figuraccia o – peggio – di contribuire alla diffusione di notizie false.
Ecco perché non si dovrebbe mai prendere per buono l’output grezzo di un chatbot AI, soprattutto nelle discussioni pubbliche o quando si tratta di contenuti divulgativi. Se si sceglie di usare l’AI come supporto è bene chiedere sempre le fonti, controllare i link e i riferimenti (a volte sono inventati o fuorvianti), usare il buon senso!
Contestare chi usa l’AI come fonte nelle discussioni
Se ci si accorge che qualcuno usa l’AI come fonte in una discussione online, va contestato. Bisogna chiarire che i chatbot non sono fonti legittime, ma veicoli di potenziale disinformazione. Se si può mettere in dubbio persino Wikipedia, che ha una pagina di discussione per ogni voce, figuriamoci se non si dovrebbe contestare l’uso dell’AI come fonte, che non offre alcuna trasparenza sulla generazione delle risposte.
La tentazione di invocare un chatbot per dar peso alle proprie argomentazioni è comprensibile, ma così si inquina il dibattito con informazioni inattendibili. Meglio evitare del tutto questa pratica e attenersi a fonti verificabili.
Immaginiamo questo scenario. Durante una discussione online su un forum di tecnologia, un utente scrive: “Secondo ChatGPT, l’intelligenza artificiale supererà le capacità umane entro il 2030, quindi è un dato certo.”
Esempio di risposta ferma, ma educata: “Occhio: citare un chatbot come fonte non è affidabile. ChatGPT (o qualsiasi AI) può fornire risposte plausibili, ma non garantisce accuratezza né trasparenza su come sono generate. I chatbot non sono fonti primarie o verificate, ma strumenti linguistici che imitano il sapere umano. Se vogliamo che il dibattito resti serio e fondato, è meglio rifarsi a studi, articoli o fonti verificabili.”
L’uso distorto dell’AI nei dibattiti online: un campanello d’allarme da non trascurare
L’impiego inappropriato dei chatbot AI nelle discussioni online è un campanello d’allarme che non si può ignorare. Questa tendenza, è indice di una mancanza di consapevolezza preoccupante riguardo ai limiti e ai rischi di questi strumenti.
Gli utenti devono comprendere che i chatbot AI, per quanto sofisticati, non sono fonti affidabili di informazioni. La loro accuratezza è ben lontana dall’essere perfetta. Anzi, possono generare risposte errate o fuorvianti con allarmante frequenza. Affidarsi ciecamente all’AI per sostenere le proprie argomentazioni online, non solo è intellettualmente disonesto, ma anche pericoloso. Può portare alla diffusione di disinformazione e alla polarizzazione del dibattito pubblico.
L’unica soluzione è evitare l’utilizzo diretto, verificare sistematicamente, richiedere sempre riferimenti e fonti verificabili e sottoporre i contenuti generati a un’analisi critica.
Perché dovremmo ripensare il rapporto con l’intelligenza artificiale?
Il valore dell’intelligenza artificiale non risiede nella capacità di fornire risposte pronte, ma nel potenziale di stimolare la nostra riflessione.
Questi strumenti non possiedono verità assolute: sono specchi che riflettono i dati su cui sono stati addestrati. Non sono idoli da venerare, ma dei collaboratori, che hanno sempre bisogno della nostra supervisione. L’intelligenza umana rimane insostituibile: empatia, giudizio etico e creatività sono qualità che nessun algoritmo può imitare. L’AI dovrebbe quindi amplificare le nostre caratteristiche distintive, non annacquarle.
La società necessita urgentemente di un nuovo patto con queste tecnologie: formazione nelle scuole per distinguere contenuti autentici da quelli artificiali, regolamentazioni che favoriscano trasparenza, e una cultura che valorizzi il pensiero indipendente. Il domani che desideriamo non è quello in cui l’AI decide per noi, ma quello in cui diventa un volano dell’intelligenza collettiva, preservando sempre la centralità dell’esperienza umana.